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sabato 15 febbraio 2014

80. GHEDDAFI e le suore italiane da lui volute in Libia

suore all'ospedale El Beida
In questo blog, grazie all’amica Maria Genta, ho potuto parlare della Libia ai tempi di re Idriss (vedere post 6,7,8 e 15) . Ora, un’interessante testimonianza di una suora, le cui consorelle vi hanno vissuto per vent’anni, ci permette di capire meglio la mentalità libica e, soprattutto, il dopo Gheddafi che ben pochi politologi sembrano aver afferrato.


Mi ha raccontato, infatti,  Suor AnnaMaria dell’esperienza delle consorelle della sua Congregazione.
 Le religiose erano state chiamate dall'allora Papa Paolo VI al quale Gheddafi stesso aveva chiesto delle suore per l'ospedale di El Beida. Il rais libico era stato colpito, in effetti, dalla cura e dalla dedizione di due suore francescane, che avevano assistito nell'agonia e nella morte, con grande competenza e amore, il padre colpito dai bombardamenti di Reagan alle caserme in cui viveva la famiglia del capo libico.

martedì 18 maggio 2010

41. In Libia al mio primo impiego ero l'unica ragazza

di Maria Genta

Dopo aver conseguito il diploma di ragioniera a Tripoli, il mio primo lavoro fu presso la ditta di nettezza urbana della città, dove aiutavo nella contabilità.
All'inizio ero la sola ragazza in mezzo a tanti uomini, ed ho un bel ricordo di quel periodo perché tutti gli operai mi rispettavano. Ricordo in particolare il rito del tè: c'erano sempre uno o più operai addetti esclusivamente a preparare questa bevanda per tutti gli altri. Ero fiera perché a me veniva sempre offerto per prima, ma ero anche orgogliosa di far parte del loro mondo.



Il servizio di nettezza urbana, era decisamente all’avanguardia, perché laggiù si faceva già all'epoca (primi anni ‘60) la cernita tra i vari elementi in discarica, e la parte organica veniva preparata per fare concime, che poi si rivendeva agli agricoltori.
In quel periodo andavo in ufficio in bicicletta, che avevo comprato con il mio primo stipendio. L'ufficio era abbastanza lontano da casa e percorrevo tante stradine con case abitate esclusivamente da libici. Il ricordo più vivo è quello delle feste della pasqua musulmana , l'Aid el Kebir, quando ogni famiglia sacrificava un agnello, e ciò avveniva per strada. Una tortura per me perché sentivo la sofferenza degli animali, per cui pedalavo cercando di non guardare né a destra né a sinistra, ma anche l'udito aveva la sua parte. Ripassando più tardi, era l'olfatto ad essere coinvolto, con il profumo di carne arrostita sulle braci, ed allora iniziava la festa!

In un paese dove convivevano gente di tutte le nazionalità, la conoscenza delle lingue era importantissima per lavorare. Ci fu il boom delle ricerche petrolifere e scoperte di molti giacimenti importanti, il nostro mondo quindi si allargò alle abitudini di altri paesi ed altri popoli. La convivenza con la gente locale è sempre stata molto cordiale: come donna, logicamente, i contatti erano soprattutto con le donne ed i loro bambini, ma loro erano sempre riservati e non cercavano mai di invadere o di entrare nel nostro mondo.
Per puntualizzare il racconto, mi sono diplomata nel capitale della Libia quando c’era Re Idriss, periodo in cui l'amministrazione non era più italiana. Il sindaco di Tripoli era il libico Dr Caramanli, che credo avesse studiato in Italia. La lingua più usata (dopo l'arabo ) era l'italiano e tutti i libici lo parlavano, quindi noi italiani eravamo poco pressati ad apprendere la loro lingua. A scuola, dalla prima elementare, si insegnava l'arabo letterale, un po’ diverso da quello parlato (un po’ come i nostri dialetti), ma almeno la radice delle parole era abbastanza simile.

Così si imparava a leggere ed a scrivere in arabo, ma difficilmente si riusciva a fare delle traduzioni che non fossero più che semplici. La numerazione, invece, mi è stata molto utile nel mio primo lavoro. La contabilità era tenuta in italiano, ma doveva essere tutta tradotta in arabo, quindi c'erano doppi registri. La traduzione delle scritture di contabilità, in partita doppia, veniva fatta da un libico, ed io mi occupavo di tutta la trascrizione numerica. E' divertente pensare che io, anche molti anni dopo, in Italia, ho continuato a tenere i miei piccoli conti, con le cifre in arabo!

venerdì 11 settembre 2009

15. Le mie vacanze in Libia negli anni '60


di Maria Genta


Durante le vacanze estive, andavo a passare un paio di mesi in una fattoria in campagna, in un paese a circa 40 km da Tripoli, presso una famiglia di amici. La casa era composta da tre stanze: la cucina, centrale, e due camere da letto a lato. Il bagno non esisteva: c'era un capanno scoperto poco distante da casa. In cucina c'era un bel focolare a legna, dove la madre della mia amica preparava i pasti. All'esterno c'era un grande forno dove veniva cotto il pane una volta alla settimana: una parte dell'impasto veniva messo da parte per diventare lievito per l'infornata seguente.
Di bello c'era una vastissima vasca di cemento per raccogliere l'acqua del pozzo, che serviva poi per l'irrigazione: quella era la nostra piscina.
Il papà della mia amica era potatore e la casa era in mezzo a distese di alberi di mandorle, di arance e mandarini. Il periodo della fioritura era sicuramente lo spettacolo più bello, per non parlare del profumo intenso dei fiori d'arancio !

sabato 16 maggio 2009

7. La Libia con le sue città antiche, è stata il mio paese fino al 1970


Sabratha, Leptis Magna, Nalut, antiche città che ho avuto la fortuna di visitare prima di andarmene dalla Libia

di Maria GENTA


Il castello di Tripoli era visitabile solo in parte e all'esterno, ma io ebbi la fortuna insperata di conoscere il direttore delle antichità della Libia (era allora un professore italiano che veniva dall'Università di Perugia) che vi abitava con la moglie ed una figlioletta. Per alcuni mesi andavo al castello per aiutare la signora che preparava la sua tesi di laurea sulle iscrizioni romane dei monumenti delle antiche città di Sabratha e Leptis Magna.
Due città romane stupende, che sono sempre state le mete di tante gite : Sabratha, a circa 80 km da Tripoli, e Leptis Magna a circa 200 km.
A Sabratha, il magnifico teatro veniva utilizzato in estate per rappresentazioni di tragedie greche : fu lì che conobbi, o meglio, che vidi per la prima volta e dal vivo Vittorio Gassman.. Era un attore bravissimo ed era diventato per me quasi un eroe , ma grande fu invece la mia delusione quando, venuta in Italia , lo vidi protagonista di alcuni film : per me aveva perso tutto il suo charme.
Oltre al mare, c'era naturalmente il deserto, che ha un suo fascino molto particolare e, come il mare, poteva diventare pericoloso con le sue tempeste di sabbia. Ho un bel ricordo di una gita all'interno del paese. Con alcuni amici si voleva andare a Nalut, dove dicevano esservi resti interessanti di abitazioni troglodite. Si era con una vettura normale, niente fuoristrada, e rischiammo anche di perderci : ogni tanto si incontravano le piste che conducevano a dei campi petroliferi, poi una barriera di rocce rosse, come una falaise, ma infine arrivammo a Nalut, un paese quasi in montagna. Niente alberi, tutto brullo. Era sera, avevamo fame ed eravamo stanchi. C'era una specie di alberghetto, dove ci offrirono un po‘ di pane e delle uova. C'erano solo brande per dormire, ma poco importava.
Prima dell'alba ero già in piedi e, seduta davanti alla porta del nostro ricovero, assistetti ad uno degli spettacoli più belli che io ricordi: il sorgere del sole dietro a quelle pareti quasi verticali, con i fori delle entrate di quelle che erano state abitazioni o magazzini di riserve di cibo di popoli antichi, il tutto avvolto in una leggerissima coltre di nebbia, quasi iridescente . Del rientro in città non ricordo nulla: quello spettacolo naturale aveva messo tutto il resto in ombra.
Durante un'altra gita verso l'interno, in una sosta, seduta su un muricciolo ai bordi della strada, casualmente, smuovendo la sabbia che copriva il muretto, si scoprì che c'era sotto un mosaico. Non toccammo nulla, anzi lo ricoprimmo prima di andarcene, ma fu ugualmente una bella esperienza.

La Libia è stato il mio paese, ma tutto è cambiato dopo re Idriss
Quello è stato il mio paese: so che ora tutto è cambiato, ma sono contenta di aver potuto viverci in quei momenti quando il mondo era più tranquillo e non c'erano rivalità religiose: a Tripoli convivevano tranquillamente le tre religioni : musulmana, cristiana ed ebraica. Poi, purtroppo, tutto mutò. In Libia c'era la monarchia, ma re Idriss , in seguito ad un colpo di stato militare, fu mandato in esilio, e subentrò Gheddafi. Una cosa buona fu, che, almeno, non ci fu spargimento di sangue.
Però la politica cambiò completamente e tutti gli stranieri vennero espulsi , fra cui gli americani, che avevano una base militare alla Mellaha, a pochi chilometri dalla città, e poi gli italiani, che vennero cacciati dalla Libia sequestrando tutti i loro averi mobili e immobili senza nulla in cambio.

Per noi italiani, che lì eravamo nati e cresciuti, dove avevamo vissuto tutta la nostra vita, fu naturalmente uno shock terribile. Arrivando in Italia, eravamo degli stranieri in terra quasi straniera. Fu dura, ma ce l'abbiamo fatta a costruirci il nostro angolino nel nuovo mondo : l'Italia è la nostra patria.

lunedì 11 maggio 2009

6. La mia vita a Tripoli fino al colpo di Stato di Gheddafi




Maria Genta, nata a Tripoli quando la Libia era una colonia italiana, ha affidato a questo blog la sua interessante storia.
Ma per capirla, è importante accennare brevemente alla storia della Libia dal 1911 al 1970:

Conquistata la Libia con la guerra italo-turca (1911-1912), ci vollero, all’Italia, però, quasi vent’anni di guerriglia con una popolazione soprattutto berbera, molto determinata, prima di colonizzare il paese. Nel periodo fascista l’Italia porta in Libia un intenso sviluppo infrastrutturale con l’intento di far venire coloni dall’Italia. La seconda guerra mondiale, tuttavia, mette fine all’occupazione italiana. La Libia, infatti, presa dagli alleati nel 1943 sarà dichiarata indipendente nel 1951. Da quel momento diverrà una monarchia sotto re Idriss I.
Un colpo di Stato, tentato da giovani ufficiali dell’esercito approfittando di un’assenza di re Idriss, malato e senza eredi, partito fuori dal paese per curarsi, porterà Gheddafi al potere nel 1969. L’anno dopo Gheddafi nazionalizzerà tutte le industrie e espellerà gli stranieri dalla Libia, confiscando i loro beni: dovranno lasciare il paese portando solo poche valigie di tutti i loro averi e gli sarà vietato il rientro in terra libica.

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Maria ha detto di aver rimosso dalla sua memoria tutti i ricordi dolorosi della sua giovinezza. Ecco perché la sua avvincente storia, che ho suddiviso in vari capitoli, è priva di qualsiasi critica.


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Racconta Maria Genta:


Sopra questo mio scritto, c' e' una veduta dal mare del castello di Tripoli, città dove io sono nata alla fine degli anni '30.
Quando io studiavo l'arabo, a scuola, i libici la chiamavano "Tripoli d'occidente", infatti esiste un'altra "Tripoli", più ad est, in Libano.
I miei genitori erano italiani, naturalmente: mio padre, un ex carabiniere, dovette lasciare l'arma per sposarsi (all'epoca, mi dicevano, i carabinieri non potevano sposarsi prima dei 30 anni).
Subentrata la guerra, mia madre con noi quattro figli venimmo in Italia e ci stabilimmo sulle montagne bolognesi, a Lizzano in Belvedere.
Finita la guerra, nel febbraio 1947, facemmo ritorno in nave a Tripoli, dove invece era rimasto mio padre, che lavorava al Comune.
Il mio primo ricordo su Tripoli fu il gran caldo che trovammo all'arrivo. Anche negli anni successivi capitavano delle giornate caldissime, anche in febbraio: era il vento del deserto, il ghibli, che generalmente soffiava dai tre ai nove giorni consecutivi.
Frequentammo le scuole elementari presso un istituto statale gestito da suore , ed io ne ho un ricorso molto bello. La mia insegnante è sempre stata la stessa, dalla seconda alla quinta classe, una signora già anziana ma con un gran cuore. Avevamo anche un insegnante di arabo, anche lui abbastanza anziano ( ma agli occhi di una bambina tutti gli adulti sono anziani). Anche lui una persona bravissima : ricordo gli scherzi che gli facevamo, e lui non si inquietava mai . Il suo era il classico abbigliamento arabo, con un barracano di lana bianca, avvolto intorno al corpo e che lo ricopriva tutto (il barracano è una specie di coperta, quasi sempre di lana, che serviva per ripararsi sia dal caldo che dal vento di sabbia, e dal freddo, e che mettevano sopra un abbigliamento abbastanza leggero composto da pantaloni molto larghi, una camicia con gilé ). Noi bambini non riuscivamo a capire come la lana potesse proteggerli dal caldo : più avanti ci si rese conto che era vero.
La mia famiglia ha sempre abitato a Tripoli, ma c'erano moltissimi italiani che vivevano nei villaggi costruiti dall'Italia prima della guerra per i coloni, in maggioranza veneti, o siciliani. Allora non esisteva il campanilismo, eravamo tutti italiani e basta, e molto uniti.
Noi si abitava in una villetta vicino all'ospedale, in un quartiere detto "città giardino" e con molte stradine non asfaltate: quando c'era il ghibli, nessuna porta e finestra chiusa riusciva a tenere al di fuori la sabbia, che si posava su tutto; polverina chiara granulosa che si infiltrava dovunque. Avevamo come vicini diverse famiglie libiche, ancor più poveri di noi, perché noi, almeno, avevamo l'acqua corrente in casa. I bambini venivano sempre a chiederci l'acqua e talvolta si giocava insieme.
Ma la povertà all'epoca, era diversa da quella di adesso: non si aveva quasi nulla: io ricordo periodi di mesi in cui si mangiavano sempre fagiuoli e datteri pressati, ma ,almeno a noi bambini, la cosa pesava poco. Il pane c'era. Più grande. Ricordo che la nostra merenda era un panino di pane nero farcito di tonno e peperoncino piccante, il cui gusto non sono più riuscita a trovare.
Sulla strada principale che portava all'ospedale, c'erano alcuni negozietti tenuti da libici. Erano sempre aperti, di giorno e di notte. Avevano pochissimi articoli : pane, tonno, olio. spezie, carbone, qualche verdura, qualche bibita, qualche quaderno, qualche matita : i proprietari erano sempre disponibili, sorridenti, pronti ad aiutarci e, talvolta, anche a farci credito. Specialmente durante il mese del Ramadan (il mese della penitenza), di notte c'era più vita che di giorno, e tutti i negozi erano aperti. C'era un affiatamento incredibile e anche noi potevamo partecipare ai loro pasti notturni (la religione proibisce loro , in quel mese , di mangiare, bere, fumare, ecc.. durante il giorno): tutte le notti allora si illuminavamo e si trasformavano in feste, con poche cose, ma sempre molto allegre e piene di chiacchiere e animazione.



Com’era bella la mia Tripoli prima del colpo di stato !
La città, su un mare stupendo, pulito e limpido, aveva un lungomare di qualche chilometro: forse non era vero, ma quando io visitai per la prima volta Nizza, con la sua famosissima "promenade" , dissi che il lungomare di Tripoli era molto più bello di quello di Nizza, e lo penso ancora, almeno per quanto resta nei miei ricordi.
Il mare: ecco cosa soprattutto mi rimane nel cuore della mia città natale !
Dal primo anno si cominciò ad andare alla spiaggia da giugno a settembre (per il caldo, le scuole terminavano a maggio e riaprivano in ottobre).
Prima al Lido di Tripoli, spiaggia molto lunga con sabbia quasi bianca, poi, più grandi, si frequentavano i "Bagni sulfurei". Era una spiaggia alla foce di un Uadi (torrente), sulle cui sponde del letto asciutto erano piazzate le cabine. Qualche anno, a fine estate, capitavano le piogge, ed allora l'Uadi irrompeva lungo il suo letto fino al mare, facendo diventare l'acqua come un'immensa strada giallastra che si apriva una via nel mare, per chilometri. Il nome gli veniva per via di una sorgente solforosa che sgorgava proprio vicino al mare, e che era alla portata di tutti: forse ora sarà stata commercializzata.
Si stava al mare per giornate intere: la pesca subacquea non mi è mai piaciuta, ma andavo in giro lungo la costa rocciosa con pinne e maschera per godermi lo spettacolo marino. La pesca in mare , allora, era poco sfruttata, e capitava spesso di nuotare in mezzo a branchi di pesciolini di colori diversi. Notai anche che i pesci più grossi non scappavano alla mia vicinanza, ma sparivano immediatamente appena si avvicinava un nuotatore con il fucile. L'unica pesca che imparai a fare fu quella dei ricci. Li riconoscevo dal loro colore: rosso, violetto, marrone, verde e nero, ed imparai anche a mangiarli, seduta sulle rocce, con un po’ di limone: una squisitezza !
Le scuole erano italiane: elementari, medie inferiori, liceo classico e scientifico, magistrali, ragioneria, geometri, più scuole artigianali. Non ricordo ci fossero studenti libici. Generalmente ci si fermava ai 18 anni. Non molti avrebbero potuto, infatti, pagarsi l'università in Italia.
C'era una scuola artigianale libica, la "scuola arti e mestieri" dove venivano insegnati tutti i mestieri manuali: stupende erano le lavorazioni di intaglio ed intarsio su argento ed ottone, e molti dei loro lavori venivano ammirati nei "suk" (mercati). Come in tutte le città arabe, ogni suk vendeva solo un tipo di merce: abbigliamento, tappeti, ferro battuto, gioielli, vasi e piatti in metallo, finemente lavorati. A Tripoli, si accedeva ai suk da piazza Castello, suk el Muscir, ecc. Era molto eccitante e piacevole girovagare nelle stradine piene di rumori e di vita.