venerdì 21 gennaio 2011

49. Il tempo dilatato dell'infanzia

Non si può andare, come Proust, alla ricerca del tempo perduto. Ma si può sognare di quel tempo dilatato che hanno usufruito, durante la loro infanzia, quelli nati fino agli anni '60 del secolo scorso. Dopo non è più possibile, perché i tempi moderni hanno catapultato nel nostro mondo mezzi che hanno fatto correre il tempo, tanto da metterci l'affanno per tenergli dietro. Cosa è successo? Perché ognuno di noi ha l'impressione che le settimane, i mesi, gli anni, volino?
Quando penso al tempo della mia infanzia, affiora subito alla mia mente un'immagine di infinita serenità: un biroccio trainato da due pacifiche mucche mi sta trasportando, con tutto il carico, verso casa. Sono seduta su un enorme mucchio di erba che inebria le mie narici con i suoi mille odori. Non c'è nessuna fretta, i ruminanti conoscono la strada e la percorrono, lentamente. E' una bella giornata di maggio, comodamente seduta, assaporo i raggi del sole e il procedere cadenzato delle bestie mi culla e mi lascia la libertà di far vagare la mia mente.
Questo è il mio tempo dilatato, quello che rimpiango quando, ora, troppi impegni si accavallano.
Un tempo che sembra anni luce lontano da quello attuale. All'epoca vivevamo in simbiosi con i cicli della natura e, poiché si andava sempre a piedi o, al massimo in bicicletta, non poteva esserci fretta.

Racconta la Signora Armentina (la decana di questo blog) che addirittura quando era giovane (1940), in casa sua non c'erano orologi. Per cui ci si regolava per le varie attività della giornata solo dalla luce del giorno e dalle campane che, nei paesini, suonavano alle sei, a mezzogiorno, al vespro per richiamare i fedeli ma che, in effetti, scandivano la giornata di lavoro agricolo: inizio lavoro, pausa pranzo, fine lavoro; un suono che si espandeva nelle campagne a distanza di chilometri.
Un altro fattore importante per regolarsi sul tempo, era il sole. Armentina dice che, per accendere il fuco per il pranzo, le bastava guardare quando l'ombra arrivava al secondo scalino della sua gradinata. Nel mondo contadino tutto era questione di osservazione, attraverso questa, infatti, e alle esperienze acquisite, l'agricoltore sapeva far fruttare la natura: tradizioni e savoir faire tramandati da generazioni.