di Nicoletta Barbarito
Entro in una qualsiasi libreria e trovo libri di cucina a iosa, occupano interi scaffali. Accendo la TV e anche lì cuochi e cuoche a non finire. Apro una rivista dal parrucchiere, idem.
E a casa? Nei piccoli paesi e nelle città di provincia, più o meno ricche e informate, ancora si cucina due volte al giorno, spesso in modo tradizionale. Nelle grandi città ho, invece, i miei dubbi. Le donne, lavorando fuori, hanno meno voglia e tempo di cucinare e i mariti, se e quando le sostituiscono ai fornelli, a meno che non siano dei fanatici gourmets - e ce ne sono - cucinano quanto basta per sopravvivere; i piatti pronti da banco spopolano (nonostante i prezzi) e i giovani affollano di sera i punti di ristoro nutrendosi di roba unta, pizze e crostini. Nei ristoranti, varietà di cibo di tutti i paesi, sapori e terminologia sono ormai familiari: anche i bambini sanno cos’è il sushi. Vale la pena saperlo anche preparare?
Nei miei ricordi da subito dopo la guerra fino agli anni Cinquanta, la cucina, anzi la buona cucina, nelle famiglie romane medio-borghesi, è un elemento fisso, curato ma senza particolari fronzoli, la cui varietà e quotidiano successo sono dati per scontato. Far da cucina avendo mano svelta, naso fino e occhio attento non dava diritto a medaglie: roba da donne, la sapevano fare, la facevano e basta. La geografia era fattore discriminante, la cucina essendo allora essenzialmente locale. Cose oggi banali a livello nazionale, per esempio il pesto o la pasta alla carbonara, erano praticamente sconosciute al di fuori del loro luogo d’origine.
A casa mia, dove i fornelli erano di competenza della mia nonna materna, golosa nonché ricca di fantasia, erano tenuti in alta considerazione “Il Talismano della felicità” e “La Cucina romana”, entrambi opera di Ada Boni. Mia nonna si vantava di aver conosciuto l’autrice proprio nella sua bella abitazione all’ultimo piano di Palazzo Odescalchi, e la citava con grandissima stima. In realtà quei due libri di ricette venivano ammirati più che usati da mia nonna (mia madre, invece, ne fece poi costante e devoto uso). Mia nonna faceva tutto ad occhio e a memoria, conosceva un vasto numero di ricette, soprattutto emiliane, che di divertiva anche a trasformare.