martedì 11 luglio 2023

LA MIETITURA E I PICCOLI SPIGOLATORI



di Barbara Bertolini


Nelle mie giornate infantili degli anni ’50 del secolo appena passato il clou della vita contadina era la mietitura che arrivava con il solleone. Le spighe di grano distese al sole erano pronte per essere raccolte e la mietitura avveniva al mattino prestissimo proprio per evitare la calura intensa dell’estate. Anche noi bambini venivamo svegliati alle tre del mattino per essere sui campi già alle quattro. Un giorno di fatica, ma anche di grande festa per tutti perché a mietere era richiesto il concorso di tutta la famiglia, ivi compresi i parenti.

domenica 21 ottobre 2018

101. Il ricamo alla corte di Matilde di Canossa


di Barbara Bertolini

Lucia Franzoni, una gentilissima signora di Casina, tempo fa mi portò a casa sua perché mi doveva far vedere i ricami canusini. Rimasi davvero impressionata per la bellezza di questi capolavori che mani laboriose e gentili realizzavano da secoli.

Mi spiegò che questo “ricamo canusino” fu portato in auge da Maria Bertolani Del Rio, di Reggio Emilia, una psichiatra,  che intorno agli anni ’30 del secolo scorso aveva studiato un metodo interessante per occupare le sue pazienti, spingendole verso la  creatività al fine di farle uscire dalle loro angosce. 

martedì 18 settembre 2018

100. Sulle strade della mia infanzia: lo "SPACCAPIETRE"




di Barbara Bertolini


Sulle strade della mia infanzia ogni tanto c’erano cumuli di sassi e, seduto vicino a questi cumuli, sotto il sole cocente dell’estate o il gelo dell'inverno, un uomo con un grosso martello in mano spaccava queste pietre, ritmicamente, sasso dopo sasso, per farne della ghiaia. Quest’umo di mestiere faceva lo “spaccapietre” uno dei più ingrati lavori manuali esistenti e poiché non aveva guanti, per parare i colpi del martello, aveva ideato copri-dita con i vecchi copertoni delle biciclette.

martedì 21 novembre 2017

99. Il mangiadischi e la generazione “yéyé”


di Barbara Bertolini



La generazione nata prima degli anni ’60 è passata dalla canzone napoletana, che ha dominato incontrastata fino alla fine della Seconda guerra mondiale, a quella melodica di Nilla Pizzi, Claudio Villa, Luciano Tajoli, Gino Latilla  ̶  canzoni le loro cantante a squarciagola dalle nostre mamme mentre erano intente ai lavori domestici  ̶   per transitare dagli urlatori come Tony Dallara, Adriano Celentano, Joe Sentieri ed approdare a quelli che erano i “nostri” cantanti, perché giovanissimi, ovvero Gianni Morandi, Rita Pavone, Caterina Caselli, Patty Bravo, Marisa Sannia, Adamo, ecc…. E poi, subito dopo, ispirati dai Beatles, sono arrivati i rocker o cantanti beat, come l’Equipe 84, i Camaleonti, i Dik Dik, i Nomadi e altri che ci hanno stregati con le loro musiche. E, io che vivevo fra due culture, seguivo con passione anche i cantanti francesi come Sheila, Sylvie Vartan, Françoise Hardy, Antoine, Mireille Mathieu, Jacques Dutronc, Arlette Zola, ecc…

sabato 15 aprile 2017

98. La saga di una famiglia di astronomi che per cento anni ha vissuto nell’Osservatorio Astronomico di Capodimonte

Osservatorio astronomico di Capodimonte
di Barbara Bertolini


E’ capitato raramente che nel mondo scientifico padre, figlio e nipote diventassero astronomi e, tutti, ottimi scienziati. Ma la cosa ancora più strana è che la loro attività la svolgessero presso lo stesso osservatorio, ovvero quello astronomico di Capodimonte di Napoli che ha avuto il privilegio di ospitarli in una continuità familiare e scientifica veramente singolare.

Il molisano Antonio Nobile, suo figlio Arminio e suo nipote Vittorio sono stati i protagonisti di questa saga familiare per un secolo, dal 1819 al 1920 fino a quando, Vittorio, fu costretto a scegliere tra la sua attività di astronomo e quella dell’insegnamento e optò per quest’ultima.

Nell’Osservatorio astronomico di Capodimonte nacquero sia Arminio che Vittorio poiché gli astronomi avevano obbligo di dimora. 

Il primo ad entrare come assistente nell’Osservatorio di Capodimonte, allora appena inaugurato, è stato Antonio Nobile.

mercoledì 8 febbraio 2017

97. Com'era ecologico il grembiule delle massaie!


di Barbara Bertolini


Un indumento che è andato poco a poco scomparendo nelle case è il grembiule, la divisa per eccellenza delle massaie. Nonne, mamme e anche giovinette se lo toglievano raramente. I motivi erano tanti ma il primo era quello di salvaguardare quel poco di vestiti che si possedeva. Infatti, il guardaroba di nonne o bisnonne, fino ai primi anni ’60, era davvero misero sia per la povertà della gente ma anche perché ogni indumento veniva fatto a mano e richiedeva, quindi, molto tempo per la sua realizzazione. Inoltre, non c’era ancora la lavatrice e si doveva, con fatica, lavare tutto a mano in grandi mastelli. Sto parlando del mondo contadino, anche se la buona borghesia italiana non aveva certo a disposizione, nemmeno lei, tutto quello che abbiamo ora.

lunedì 28 novembre 2016

96. La notte di San Giovanni e la sporca guerra ai civili

La Bettola nel 1944
 di Barbara Bertolini


Del passato non ci sono solo scenari idilliaci da ricordare ma anche storie terribili di violenze e barbarie come questa, avvenuta alla “Bettola”, comune di Vezzano, vicino a Reggio Emilia, la notte di San Giovanni del 1944, una calda notte stellata,  dove pace e serenità regnavano sovrane perché  il coprifuoco, in vigore dalle 22, impediva a chiunque di uscire.

In quel lontano 1944 la guerra ormai aveva dato il peggio di sé e non c’era più nulla da perdere sia per i fascisti che per i tedeschi ma, anche i partigiani colpivano duro: insomma si era arrivati ad un punto di non ritorno dove non c’era più umanità per nessuno, come dimostra questo episodio, non certo il solo nel panorama italiano di allora. Anzi, dicono M. Durchfeld e M. Storchi* che  le stragi perpetrate dai tedeschi di più ampie proporzioni avvennero proprio nell’estate-autunno di quell’anno.

mercoledì 18 maggio 2016

95. Una lavagna, il…computer della mia infanzia

Siamo negli anni ’50, i genitori di Rita Frattolillo, seconda di quattro figlie, decidono di non mandarla a scuola ma di tenerla a casa a badare alle sorelline più piccole. La mamma e il papà sono insegnanti e, quindi, all’educazione scolastica penseranno loro. Ecco i ricordi di Rita di questa inusuale esperienza:
***


Per quanto possa sembrare strano, a casa mia tra tutte le camere preferivamo la cucina.
La domenica, quando tutti erano liberi dal lavoro e non c’era fretta, ci piaceva indugiare intorno alla grande tavola apparecchiata per la prima colazione, e, tra un sorso e l’altro di caffelatte, chiacchierare del più o del meno. E fare il programma della giornata, che spesso comprendeva un’escursione fino a un certo castello o a quel tale sito archeologico.
Nelle lunghe sere d’inverno, poi, pur se ogni stanza aveva il proprio camino, ci piaceva sederci in circolo intorno a quello della cucina, dove, con gli occhi stregati dallo sfavillio dei carboni che ardevano nel focolare, seguivamo in silenzio i “cunti” di paese raccontati dalle vecchie donne di casa.

domenica 7 febbraio 2016

94. DOVE HAI FATTO IL MILITARE?


Gianni Morandi con i suoi commilitoni

di Barbara Bertolini

Questa era la domanda che permetteva a perfetti sconosciuti di intavolare una simpatica conversazione. Per molti ragazzi italiani il servizio di leva o la naja era l’unico modo per uscire dalla famiglia e fare nuove esperienze anche se quasi tutti preferivano evitare di perdere uno o due anni della loro esistenza al servizio dello Stato italiano. Quella del servizio obbligatorio di leva è stata un’istituzione durata 143 anni, dalla nascita del Regno d’Italia fino al gennaio 2005 quando la legge del 23 agosto 2004 ha sospeso la sua obbligatorietà per tutti quei ragazzi nati dopo il 1985. 

domenica 13 dicembre 2015

93. Le serve nelle case borghesi del passato, racconto di Lina Pietravalle

Fino alla fine della Seconda guerra mondiale era facile trovare nelle case delle persone abbienti la servetta, ovvero una ragazza di campagna andata a servizio presso una famiglia per poter guadagnare un po’ di soldi, che avrebbe poi utilizzato sia per il suo corredo, una volta che andava sposa, sia per aiutare la propria misera famiglia. E non era raro che queste giovinette, trattate molte volte come vere schiave, diventassero anche un oggetto sessuale dei maschi di famiglia, con gravidanze indesiderate, come ci espone la scrittrice Lina Pietravalle ne “I racconti della terra”.

La scrittrice ci trasporta negli anni Venti del secolo appena passato e, con un linguaggio ricco e raffinato, pieno di sfumature psicologiche, ci racconta la storia di Rosanella inviata a servizio in un paese del Molise.

domenica 18 ottobre 2015

92. La responsabilizzazione dei figli nel passato e la deresponsabilizzazione di adesso


di Barbara Bertolini


Per i genitori del passato l’educazione dei propri figli era sentita come primordiale. I ruoli erano chiari: non c’era la mamma amica né, tanto meno, il papà amico (che veniva chiamato babbo). Anzi, soprattutto nel mondo contadino, i figli davano del “voi” ai propri genitori. E, questo “voi” marcava una distanza di rispetto che non permetteva intemperanze, oltraggi o volgarità. Nessun bambino rispondeva ai propri genitori senza beccarsi un sonoro ceffone.

Con gli insegnanti era ancora peggio. Arrivati a scuola si doveva ubbidire senza fiatare alle regole da loro imposte. Gli scolari si guardavano bene dal riferire ai propri genitori le punizioni ricevute in classe perché, una volta a casa, rischiavano di prendersi una doppia razione di scappellotti. Se si era stati puniti, pensavano mamma e papà, era senz’altro per una giusta ragione ed era quindi normale che gli educatori correggessero l’alunno.

giovedì 18 giugno 2015

91. La gita scolastica del passato

di Barbara Bertolini



Gli eccessi degli studenti alle gite scolastiche di oggi mi riportano a quelle del passato, all’entusiasmo che provavamo per la prima vera uscita di tutta la classe.  Un premio che veniva concesso in genere ai bambini arrivati all’ultimo anno obbligatorio: la quinta elementare. 
Le mete erano di una sola giornata: nessuna aveva soldi da spendere in alberghi o ostelli della gioventù che in Italia erano ancora rari. Per cui, l’itinerario era previsto a piedi oppure in pullman se la destinazione  era più lontana. La scampagnata nei dintorni del paese oppure la gita vera e propria era, per noi, motivo di grandissima felicità. Ci si preparava almeno un mese prima a questo avvenimento e, arrivato il giorno, con la nostra colazione al sacco, ci avviavamo festosi per assaporare un momento di puro piacere.

lunedì 11 maggio 2015

90. Il mese di maggio nei paesini italiani



E’ ritornato maggio, con tanti fiori….♫♫♫

Oltre all’esplosione della natura che riprendeva in pieno il suo ritmo rigeneratore con un tripudio di suoni, odori e colori,  nel passato, nei paesini italiani,  maggio assumeva un carattere puramente religioso: il mese della Madonna. Che veniva rispettato da tutti. I ritmi lenti del tempo ci permettevano di assaporare a pieno dei primi tepori estivi. Nel mio paese, diviso da tante borgate, ognuna aveva il proprio oratorio. Ed era lì che, quando sentivano il suono della campanella, ci riunivamo all’ora del vespro  per il rosario.  Poiché non c’erano i sacerdoti, impegnati tutti nelle chiese importanti, da noi la festa era davvero solo ed unicamente al femminile per cui allegra, con tutti i canti, colorata, con tutte le decorazioni  di fiori e sinceramente devota. Credo che da nessuna parte la Madonna venisse festeggiata con tanto ardore come a Cà de Pazzi.

lunedì 2 marzo 2015

89. Le balere del tempo passato, come i giovani si divertivano negli anni ’40-‘60

Balli nell'aia (Serena Ranieri)


di Barbara Bertolini


Abbiamo tutti sentito parlare della balera,  la discoteca del passato, la sala da ballo formato economico dei nostri genitori, nonni  o bisnonni, maliziosa e galeotta poiché  ha permesso di poter avvicinare la persona desiderata, in tempi in cui non era possibile nessun contatto con l’altro sesso. 

L’Emila Romagna è considerata per eccellenza la patria della balera.  Ed è emiliana la novantenne signora Armentina Bonini,  a cui mi rivolgo per attingere informazioni sul passato poiché i suoi ricordi sono nitidi.

sabato 24 gennaio 2015

88. I primi supermercati e ipermercati sono arrivati in Italia in pieno boom economico

foto Esselunga
di Barbara Bertolini

Negozio, emporio, spaccio, bottega, rivendita, sono le varie denominazione dei luoghi dei nostri acquisti fino agli anni ’60, insomma, tutto, tranne supermercato. Fino ad allora il nostro potere di acquisto era molto limitato e, quindi, non abbiamo potuto fare come i ricchi americani che già verso la fine degli anni ’40 contavano più di 30 mila supermercati sul loro territorio.
   
La data esatta dell’apertura del primo supermercato italiano è il  27 novembre 1957,  a Milano. Infatti,  in viale Regina Giovanna, una ex officina ospita “Supermarket Italiani S.p.A.” ,  il  rivoluzionario negozio che stravolgerà il modo di fare la spesa di milioni di persone.

giovedì 20 novembre 2014

87. Alla ricerca delle proprie radici : dalla Francia a un paesino dell’Appennino reggiano

I francesi appena arrivati al "Sasso" davanti alla casa dei loro avi
di Barbara Bertolini

Ognuno di noi vuole sapere chi è, da dove viene e chi sono i suoi antenati, ecco perché le ricerche  genealogiche, grazie anche ad internet, sono in pieno boom.

Il flagello dell’emigrazione, in passato, ha spostato da tutta la penisola italiana, in particolare dalle zone rurali, milioni di persone alla ricerca di un lavoro soprattutto in Europa e nelle Americhe.  Altri, una minoranza, hanno invece lasciato l’Italia per motivi politici, per dissidi familiari, per spirito di avventura.  E’ pur vero che il fenomeno migratorio ha ripreso, ma gli emigrati di adesso sono istruiti e hanno sempre il telefonino in mano e, quindi, non interrompono i rapporti con i parenti lasciati in Italia, come succedeva, invece, prima e come dimostra questa storia.

domenica 5 ottobre 2014

86. La vendemmia e la pigiatura dell'uva negli anni '50


Ai tempi miei la scuola ricominciava ad ottobre. I pargoli erano una forza lavoro non indifferente per l’agricoltura  e, in una nazione in cui più del 60% dei suoi abitanti lavorava la terra, si tenevano in gran considerazione i lavori dei campi che si concludevano, per i bambini, con la raccolta dell’uva.  Ecco perché non si andava a scuola fino al primo di ottobre.

Il vigneto nella famiglia contadina ha occupato sempre un posto di rilievo. Esso veniva seguito nell’arco di tutte le stagioni con i lavori di potatura, legatura e piegatura dei tralci,  zappatura del terreno, della cimatura e, infine, della protezione dell’uva dai predatori naturali  come gli uccelli.

mercoledì 25 giugno 2014

85. La maternità fuori dal matrimonio: lettera di una ragazza piena di dubbi

Fino alla fine degli anni ’60, l’ingenua e sprovveduta ragazza  rimasta incinta perché aveva ceduto alla famosa prova d’amore che le chiedeva il fidanzato  ̶  che poi alla notizia dell’imminente arrivo del bebè se la svignava a gambe levate  ̶  veniva vista male. Additata da tutta la comunità come una “poco di buono”, una vera condanna morale anche per la sua famiglia.  Poi, arrivò all’improvviso il femminismo e spazzò via i pregiudizi e la donna, per la prima volta da millenni, acquisì la consapevolezza che la maternità fuori dal matrimonio non fosse più una colpa.  

Questa lettera, vera, scritta da una ragazza all’inizio degli anni ‘70 dimostra l’evoluzione del pensiero femminile nei riguardi della maternità (luoghi e nomi sono stati cambiati).

martedì 10 giugno 2014

84. Come si faceva a lievitare il pane nel passato? E la madre dell'aceto?


Pane emiliano
La donna, nella sua storia millenaria, ha sempre fatto tutto a mano e, questo, fino agli anni '50 del secolo appena passato, quando improvvisamente è esplosa la modernità.  Però, in quegli anni, in molti paesini dell’Appennino e delle Alpi non era giunta questa ventata poiché non avevano l’energia elettrica e, quindi, non possedevano gli elettrodomestici, tra cui il frigorifero, che era comunque una rarità anche nelle famiglie più benestanti perché molto costoso.  Difettando questo elemento, le casalinghe utilizzavano il savoir faire che si era tramandato da generazioni.

Per esempio, la “pasta madre”,  era uno degli ingredienti più importanti da avere sotto mano poiché era indispensabile per lievitare il pane che veniva fatto rigorosamente in casa ma, anche, per la realizzazione di dolci. Nessuno comperava il lievito di birra, quello che ora si trova in tutti i supermercati e che deve essere conservato in frigo. Questo discorso valeva anche per l'aceto.

In che cosa consisteva questa “pasta madre”?  Come si faceva?

giovedì 8 maggio 2014

83. La comunicazione senza telefono nel dopoguerra negli sperduti paesini italiani

Postino del passato, acquerello di Céline Castaingt-T.

Molti piccoli paesi dell’Appennino e delle Alpi fino alla metà degli anni Cinquanta non avevano l’elettricità, ragion per cui l’unico modo per avere informazioni era leggere i giornali che arrivavano per posta. Ma quanti contadini,  mezzadri, operai,  piccoli artigiani avevano la possibilità di comperarli? Pochissimi. Dalle parti mie (Appennino reggiano), questi giornali arrivano ogni tanto nei due spacci locali che, guarda caso, fungevano anche da bar;  giornali che venivano poi passati di mano in mano fino a quando ritornavano in quelle del proprietario che li utilizzava per avvolgere la sua mercanzia. In certi paesi c’era anche il banditore, ma la comunicazione di questo signore riguardava  l’annuncio di leggi, decreti o l’arrivo dei mercanti. Tuttavia, per questa comunicazione, vi rimando al post n. 13 di questo blog firmato da Annamaria Cenname.

La radio la faceva da padrona, invece, nei paesi che usufruivano dell’elettricità.  In generale una radio che i pochi proprietari o signorotti locali  mettevano sul balcone o davanti ad una finestra aperta, a pieno volume, per far sentire a tutto il vicinato le informazioni, le canzonette, le opere ecc… Insomma le cose importanti o piacevoli da ascoltare.

sabato 5 aprile 2014

82. Parole in disuso di Giuseppe Prezzolini

Diligenza con "trapelo" (cavallo dietro)
Tante parole della lingua italiana utilizzate nel passato sono andate perdute e, molte, invece, stanno in un angolino del nostro cervello, seppellite da montagne di informazioni, pronte a risorgere appena qualche scrittore ha la bontà di adoperarle. 
Secondo Zanichelli, che ha lanciato l’allarme, sono all’incirca 2800 le parole italiane che rischiano, ora, l’estinzione. Tra queste, per esempio, “imbolsire (ingrassare), invacchiare (andare a male e segnato come errore da Word!), misoneista (contrario ad ogni innovazione), belluino (feroce), ecc…”.  Ma anche tanti termini dei mestieri scomparsi.
Ho ritrovato un testo delizioso di Giuseppe Prezzolini  (1882-1982) sulla parola “trapelo”, che voglio condividere con voi poiché riporta in vita un bel pezzo di altri tempi, un racconto che è stato pubblicato per la prima volta nel 1954 dall’editore Longanesi. Barbara Bertolini

                                   IL TEMPO DEL “TRAPELO”
                                      di Giuseppe Prezzolini

domenica 9 marzo 2014

81. I giochi dei bambini campagnoli negli anni Cinquanta


Per sapere come si giocava ai tempi passati mi basta interrogare la mia memoria. Mi rivedo bambina felice correre per il paese in compagnia di tanti compagnucci. I nostri giochi erano frutto di una fantasia infinita poiché nessuno di noi aveva un gran che come oggetti di divertimento. E, allora, acchiapparella, mosca cieca, regina reginella, nascondino, un due tre stella, campana, rubabandiera,  erano i nostri preferiti tra questi giochi che potevamo portare avanti tutto il pomeriggio fino a quando, all’imbrunire, stremati, ritornavamo nelle nostre case, accolti con la più grande indifferenza.

sabato 15 febbraio 2014

80. GHEDDAFI e le suore italiane da lui volute in Libia

suore all'ospedale El Beida
In questo blog, grazie all’amica Maria Genta, ho potuto parlare della Libia ai tempi di re Idriss (vedere post 6,7,8 e 15) . Ora, un’interessante testimonianza di una suora, le cui consorelle vi hanno vissuto per vent’anni, ci permette di capire meglio la mentalità libica e, soprattutto, il dopo Gheddafi che ben pochi politologi sembrano aver afferrato.


Mi ha raccontato, infatti,  Suor AnnaMaria dell’esperienza delle consorelle della sua Congregazione.
 Le religiose erano state chiamate dall'allora Papa Paolo VI al quale Gheddafi stesso aveva chiesto delle suore per l'ospedale di El Beida. Il rais libico era stato colpito, in effetti, dalla cura e dalla dedizione di due suore francescane, che avevano assistito nell'agonia e nella morte, con grande competenza e amore, il padre colpito dai bombardamenti di Reagan alle caserme in cui viveva la famiglia del capo libico.

domenica 19 gennaio 2014

79 La scuola al tempo del fascismo: tema d’italiano


Dopo il post n.78, ricopio qui il secondo tema svolto dal professor Paperini come esempio per i suoi alunni.  Ritengo, infatti, che non c’è niente di meglio di rileggere i temi d’italiano che dovevano essere svolti dagli scolari degli anni ’30 del secolo appena passato per capire la grande differenza tra loro e gli alunni di adesso. Nessun insegnante si sognerebbe mai di chiedere, oggi,  l’ispezione degli zaini dei nostri ragazzi. E, anche se qualcuno la facesse, non vi troverebbe certo un  grillo canterino, figuriamoci se i bambini di adesso sanno cosa sia! Un’altra parola sparita dal dizionario scolastico è “diligenza”.  Esistono ancora gli scolari diligenti? Chissà … Il rimprovero all’alunno  Gabetti, invece, perché nella sua cartella vi sono giornaletti e polizieschi, è frutto della mentalità dell’epoca: si dovevano leggere solo buoni libri, dimenticando che, invece, sono proprio i primi ad avvicinare l’adolescente alle future letture importanti. Ma vediamo le differenze:  (Barbara Bertolini)

Un’improvvisa ispezione in classe alle cartelle degli alunni

mercoledì 1 gennaio 2014

78. La scuola durante il fascismo: i temi in classe


Siamo sotto il fascismo, la scuola è una cosa molto seria.  Ci si alza in piedi appena l’insegnante entra e si aspetta il suo “seduti!”. Dopo di che, zitti, zitti si segue (o  si fa finta di seguire) con attenzione la lezione. In quel periodo molti genitori sono analfabeti e, l’istruzione è percepita come importante e fondamentale per l’avvenire del proprio figlio. Ecco perché quasi tutti i papà e le mamme che vanno a parlare con gli insegnanti, raccomandano loro di usare le maniere forti con i propri pargoli se non obbediscono e non studiano.
In questo clima di terrore, il prof. Paperini decide di dare una mano agli studenti svogliati realizzando un certo numero di temi che toccano tutti gli argomenti dell’anno scolastico: mamma e papà, l’amico, l’autunno, la vendemmia, la gita in campagna, in montagna e al mare, Natale, La Befana, Pasqua ecc… ecc….
Questi temi, le cui tracce saranno riprese anche dagli insegnanti, rivisti a distanza di anni, finiscono per darci uno spaccato della realtà vissuta dallo scolaro nel periodo fascista……. Ve li ripropongo. Per ora  ecco il primo, molto istruttivo per capire il comportamento degli  alunni dell'epoca:

 Tema: Il nostro maestro

Svolgimento:

martedì 10 dicembre 2013

77. Racconti della terra

Il gallo di Giacinto
di Vincenzo Rossi

A causa di un malore e una successiva caduta, Vincenzo Rossi è costretto a letto per più di un mese, quando un avvenimento inatteso viene a confortare la sua dolorosa immobilità. Ecco il suo racconto:



[…] Immobile, supino, notti e giorni, con gli occhi chiusi o fissi al soffitto stetti per una quarantina di giorni… Poi quando avevo perduto quasi tutte le speranze di tornare a una vita piacevole avvenne il miracolo che mi sottrasse da quel costante stato di pena. Una notte mentre stavo osservando nel mio orologio da polso le due lancette che si accavallavano sulla mezzanotte, dal balcone semiaperto penetrò come un dono divino un alto, vigoroso e prolungato canto di un gallo. In me si produsse il miracolo: la mia sofferenza si attenuò, il mio cervello ebbe una illuminazione, una scossa rigenerante attraversò tutto il mio corpo e il mio spirito. La voce di quel misterioso gallo mi giungeva dai piedi del Cimerone dove alcuni contadini avevano sistemato il loro pollaio.

Quell’inattesa voce di gallo era tanto forte che in principio lo scambiai per un ululato di lupo. Cantò sette volte e tacque. Tornò il silenzio e il buio, ma passarono tre, quattro minuti e il gallo riprese il suo canto con sette note e tacque, fece una pausa un po’ più lunga, ma tornò ancora con sette note, l’ultimo “i” lo tenne per una decina di secondi: chicchirichiiiiiii… Compresi che intendeva avvisare il villaggio che era mezzanotte e che non avrebbe cantato più. Infatti stetti in attesa tutta la notte, ma quel canto miracoloso non si ripeté più.

domenica 3 novembre 2013

76. QUANDO SI NASCEVA IN CASA



Fino agli anni ’60 nei paesini di campagna si nasceva in casa. Questo parto avveniva in modo concitato. Nell’imminenza del travaglio si allontanavano dall’abitazione uomini e bambini. Le donne adulte della casa o del vicinato entravano in azione riscaldando grandi pentoloni d’acqua e preparando le varie pezze di stoffa necessarie per il nascituro e la mamma.  Al marito,  l’unica cosa che toccava, era di andare a chiamare la levatrice o la donna esperta del luogo e che si era formata solo dopo una lunga pratica di parti poiché era lei che faceva nascere tutti i bambini del paese. 

sabato 26 ottobre 2013

75. La pastorella impertinente


Questa storia è vera e si svolge all’inizio degli anni ’30 in un pesino dell’Appennino emiliano. Racconta di una pastorella astuta che non voleva proprio andare a pascolare le pecore.
***** 
Emergo con fatica da un sonno profondo. Sento, ovattata, la voce di mia madre che cerca di svegliarmi scuotendomi leggermente, ma il suo movimento mi culla e mi fa sprofondare di nuovo nel sonno. Allora, mi prende in braccio e mi porta in cucina, io piagnucolo come ogni mattina. Per acquietarmi mi dice: «Dai Tina, ti ho preparato un bel bicchiere di latte che ho appena munto per te». Sa, infatti, che è il solo modo per farmi accettare questa levataccia in un ambiente così freddo che richiede una forza di volontà disumana per uscire dalle calde lenzuola. «Le tue amiche sono già pronte, ti aspettano», aggiunge. Continuo a frignare, ma so che non ho altra scelta, è l’alba ed io devo andare fuori  e raggiungere le mie dolci, tenere, deliziose pecorelle, che in effetti sono le mie carnefici.