martedì 10 giugno 2014

84. Come si faceva a lievitare il pane nel passato? E la madre dell'aceto?


Pane emiliano
La donna, nella sua storia millenaria, ha sempre fatto tutto a mano e, questo, fino agli anni '50 del secolo appena passato, quando improvvisamente è esplosa la modernità.  Però, in quegli anni, in molti paesini dell’Appennino e delle Alpi non era giunta questa ventata poiché non avevano l’energia elettrica e, quindi, non possedevano gli elettrodomestici, tra cui il frigorifero, che era comunque una rarità anche nelle famiglie più benestanti perché molto costoso.  Difettando questo elemento, le casalinghe utilizzavano il savoir faire che si era tramandato da generazioni.

Per esempio, la “pasta madre”,  era uno degli ingredienti più importanti da avere sotto mano poiché era indispensabile per lievitare il pane che veniva fatto rigorosamente in casa ma, anche, per la realizzazione di dolci. Nessuno comperava il lievito di birra, quello che ora si trova in tutti i supermercati e che deve essere conservato in frigo. Questo discorso valeva anche per l'aceto.

In che cosa consisteva questa “pasta madre”?  Come si faceva?

La “pasta madre” è un semplice impasto di acqua e farina che si lascia fermentare e che, se accudito, cresce all’infinito e non muore mai. In questo impasto di farina e acqua proliferano lieviti e batteri fondamentali per la lievitazione.
Per realizzarla bisogna impastare circa 200 gr. di farina con  un bicchiere di acqua tiepida (certe massaie, aggiungevano un cucchiaino di miele) fino ad ottenere una  piccola palla morbida e liscia. Bisogna riporre questo primo impasto in una ciotola coperta da un panno umido e lasciarlo riposare a temperatura ambiente per 48 ore prima di veder apparire un leggero rigonfiamento dell’intruglio.
Questo primo impasto, deve essere “rinfrescato” ovvero lo si deve stemperare nell’acqua tiepida e, una volta sciolto per bene, bisogna aggiungere la farina  come sopra per dare da mangiare nuovi zuccheri al lievito. E’ solo da questa successiva procedura di rinfresco, fatta per circa una settimana, che la “pasta madre” sarà pronta da utilizzare e che farà lievitare il vostro pane in 3-4 ore.

La Signora Armentina, la decana di questo blog, dice che in casa sua la palla di “pasta madre” veniva sciolta la sera prima nell’acqua tiepida poi, si metteva la farina per il pane che si desiderava realizzare in un ciotolone, vi si faceva un bel buco nel mezzo e, in questo buco, vi si versava il composto ottenuto, lo si ricopriva con tutta la farina e lo si lasciava così tutta la notte. Il mattino, l’impasto era perfetto per fare il pane. Impasto che, però, andava lavorato e lavorato, perfino passato tra due bastoni  che fungevano da rulli non avendo, allora, la macchina per la pasta per schiacciarlo bene, operazione che l’ Armentina chiama “granula”. Ottenuto un impasto omogeneo e liscio, lo si lasciava lievitare per altre 2-3 ore. Poi venivano formate le pagnotte che andavano infornate  in un forno ben caldo.   

La cosa importante era mettere sempre da parte una palla di “pasta madre” tolta da questo impasto crudo appena fatto. Senza frigo, questa pasta madre durava tutta la settimana e il pane appena sfornato  acquisiva quel sapore che lo rendeva fragrante,  appetitoso, odoroso, squisito e che è rimasto indelebile nella memoria di tutti quelli che l’hanno assaggiato.  


ACETO

Anche l’aceto ha la sua “madre”  per poterlo moltiplicare e averlo così sempre a disposizione.

 Ogni casa contadina aveva la sua cantina, l’antro della penombra, delle ragnatele, del mistero. Quando si accedeva a questa stanza buia, ubicata quasi sempre sotto il livello delle case, si veniva  assaliti da una ventata di frescura e le narici si riempivano immediatamente di mille odori: da quello  acre delle esalazioni dell’aceto o del vino a quello dolce dei vari salumi appesi  che aspettavano di essere consumati. Una goduria per l’odorato!

 L’aceto era un alimento indispensabile per la conservazione  degli ortaggi e, per produrlo, occorreva creare la “madre”. Come si faceva? Semplicemente lasciando una bottiglia di vino casalingo aperta. Dopo qualche mese questo vino aveva prodotto, in fondo alla bottiglia, una sostanza compatta e gelatinosa che andava lavata. Questa era la madre.

Per riprodurre l’aceto, bastava aggiungere  un poco di questa madre nella damigiana dove si era messo il vino che sarebbe diventato aceto e, dopo mesi, era pronto per essere consumato. Parlo di damigiana perché in campagna si faceva e si fa un grande uso di aceto poiché viene utilizzato non solo, come detto, per mettere in barattolo tante verdure, ma anche, all’epoca, come prodotto per le pulizie casalinghe,  o come semplice disinfettante per le ferite. L’aceto, alimento non costoso, fungeva da alcool dei poveri che ogni famiglia aveva a disposizione in abbondanza. I bambini, liberi di correre e di saltare, finivano sempre per procurarsi qualche ferita. E allora, quando si facevano male, su questa ferita, in assenza di alcool, veniva versato semplicemente dell’aceto… che bruciava da morire ma che funzionava. Così si faceva in altri tempi!

©Barbara Bertolini

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