giovedì 8 maggio 2014

83. La comunicazione senza telefono nel dopoguerra negli sperduti paesini italiani

Postino del passato, acquerello di Céline Castaingt-T.

Molti piccoli paesi dell’Appennino e delle Alpi fino alla metà degli anni Cinquanta non avevano l’elettricità, ragion per cui l’unico modo per avere informazioni era leggere i giornali che arrivavano per posta. Ma quanti contadini,  mezzadri, operai,  piccoli artigiani avevano la possibilità di comperarli? Pochissimi. Dalle parti mie (Appennino reggiano), questi giornali arrivano ogni tanto nei due spacci locali che, guarda caso, fungevano anche da bar;  giornali che venivano poi passati di mano in mano fino a quando ritornavano in quelle del proprietario che li utilizzava per avvolgere la sua mercanzia. In certi paesi c’era anche il banditore, ma la comunicazione di questo signore riguardava  l’annuncio di leggi, decreti o l’arrivo dei mercanti. Tuttavia, per questa comunicazione, vi rimando al post n. 13 di questo blog firmato da Annamaria Cenname.

La radio la faceva da padrona, invece, nei paesi che usufruivano dell’elettricità.  In generale una radio che i pochi proprietari o signorotti locali  mettevano sul balcone o davanti ad una finestra aperta, a pieno volume, per far sentire a tutto il vicinato le informazioni, le canzonette, le opere ecc… Insomma le cose importanti o piacevoli da ascoltare.
Questo strumento è stato fondamentale per diffondere le varie canzoni folcloristiche o napoletane che si sono cantate a partire dalla Grande Guerra e le cui parole venivano trascritte e passate di mano in mano: ecco perché tutti le conoscevano e le cantavano accompagnati dall’organetto a bocca, lo strumento musicale più economico (nella foto una radio del 1932, inserita in un mobile).
mobile-radio del 1930



Però, qui voglio parlare di quelle informazioni che interessavano le famiglie che abitavano lontane. Come si faceva a ricevere notizie senza telefono?

La posta era il fulcro della comunicazione come, per esempio, i matrimoni o i funerali. Nei casi urgenti arrivava il telegramma, che faceva prendere uno spavento ancora prima di essere letto. L’addetto all’ufficio postale, che aveva trascritto il telegramma, si premurava poi di diffonderne la notizia a tutto il paese: la “privacy” era ancora lontana da venire!  Tramite la posta arrivavano anche le informazioni sulle tasse da pagare, che non mancavano nemmeno allora, poiché si doveva pagare, tra l’altro, un bollo sulle biciclette oppure la tassa sul grano o quella messa dal fascismo sul celibato: erano considerati celibi gli uomini che avevano superato i 35 anni, e tante altre bazzecole che avvelenavano la vita dei contadini.   

C’era, tuttavia, anche un altro modo, molto più diretto, per comunicare una notizia urgente come la morte di un parente.  E, questo che vi racconto, è un episodio che mi è capitato e che fa capire come si faceva a quel tempo a dare comunicazione di avvenimenti tristi o felici, in luoghi dove non c’era nemmeno il telefono pubblico. 

I bambini, come detto ampiamente in questo blog, lavoravano nei campi dagli otto-nove anni in poi. Anche a me veniva chiesto di collaborare alla vita contadina. Ecco perché mi trovavo insieme a mia nonna in un campo abbastanza lontano e isolato dal paese intenta a rastrellare l’erba che sarebbe servita per dare da mangiare alle mucche.

Era una bella giornata di  giugno, la scuola era chiusa,  stavamo lavorando da circa due ore, sotto un sole che aveva già il sapore dell’estate,  quando fummo raggiunte da un ragazzino che io non conoscevo e che doveva avere all’incirca 12 anni. Correndo per i campi, trafelato, gridò da lontano: «E’ morto Oscar!,  è morto Oscar!». Mia nonna si fece livida in volto, tutta tremante e per  poco non svenne fino a quando il ragazzino non si avvicinò  e spiegò i fatti.  Io non ebbi reazioni perché mi sembrava talmente assurda questa notizia: Oscar era il nome del nipotino di appena 3 anni che mia nonna aveva in custodia perché i genitori erano andati a lavorare all’estero, ovvero mio fratello e che era rimasto alla fattoria insieme alla zia. La persona deceduta, invece, era un ragazzino figlio di una lontana parente di mia nonna e che abitava a Casina, un paese molto distante da San Giovanni. Era morto folgorato mentre stava svitando una lampadina (a Casina l’elettricità c’era).  La notizia, ugualmente terribile, aveva,  tuttavia,  per mia nonna, poveretta,  in quella circostanza, senz’altro un sapore meno atroce. E, poiché era un parente alla lontana, questa brutta notizia avremmo potuta sentirla a casa quando saremmo giunte dopo i nostri lavori nei campi. Invece no, il ragazzino si era premurato di contattarci in qualsiasi posto ci fossimo trovate.

A distanza di tempo io mi chiedo sempre come abbia fatto questo messaggero a raggiungerci? Stavamo lontane da qualsiasi abitazione. Era una zona piena di campi che avevano certo il loro nome, ma che lui, piccolo marciatore forestiero, non poteva conoscere. Una domanda  che rimane, per me, ancora senza risposta.

Questa era la comunicazione fino agli anni ’50 del secolo appena passato: utilizzare le gambe per far passare le informazioni. Il telefono, arrivato all’inizio del 1960, ha portato un cambiamento radicale. 

Insomma, nel passato, questo era il modo per raggiungere le persone da informare: appena succedeva un lutto i giovani della famiglia si incaricavano di andare presso i parenti per dare la notizia  e, tutta la parentela disponibile andava al funerale, anche se bisognava camminare per ore prima di raggiungere il luogo. Le famiglie erano solidali e si stringevano intorno a chi aveva subito la perdita di un caro. A questo proposito, mi ha raccontato mia mamma che una volta (anni ’40) una vecchietta di un paese vicino, prima di morire stabilì che chiunque fosse andato al suo funerale avrebbe ricevuto un centesimo: era talmente tanta la miseria che persino un centesimo faceva gola, ecco perché quando arrivò quel triste giorno ci fu una folla immensa!


Per i matrimoni, invece, oltre al passaparola c’era anche la posta.  Tutta la comunicazione scritta avveniva tramite questo mezzo e le lettere più numerose che il postino doveva consegnare erano, però, quelle dei militari di leva che comunicavano con le loro fidanzate lasciate al paese. Queste lettere, sembra strano, sono state la miglior arma e la più efficace per combattere l’analfabetismo poiché erano molti i ragazzi-contadini che avevano frequentato la scuola solo fino alla terza elementare.

lettera di un soldato

Tutti i diritti riservati - Barbara Bertolini

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