martedì 25 dicembre 2012

67. Natale e balocchi



Quanta grazia Sant’Antonio! è proprio il caso di esclamare quando si va in qualsiasi casa durante le feste di Natale.
Alcuni  di noi, che hanno vissuto la loro infanzia accontentandosi di misere cose, vanno proprio in escandescenza. Mi ha raccontato un’amica, nonna felice di una bella brigata di quattro nipotini, che ha sentito il proprio marito, il cui studio è stato invaso da una montagna di regali che non riuscivano ad essere collocati sotto l’albero di Natale, dire a se stesso: «Su Antonio, non ti abbattere sono solo due giorni poi tutto passerà, fatti coraggio!» 

venerdì 16 novembre 2012

66. Le colonie marine degli anni Cinquanta



Appena penso a “colonie marine” mi viene in mente una vecchia canzone francese che le dissacrava: «Les jolies colonies de vacances, merci maman merci papa…» (che belle  le colonie, grazie mamma, grazie papà) e  che si cantava negli anni ’60 del secolo appena passato.  Nate nell’800 per i bambini affetti da malattie tubercolari, esse si sono poi diffuse in tutta Europa.
In Italia fioriscono sotto il fascismo, dove il culto del corpo e della salute  sono tra gli obiettivi prioritari di questo regime. Esse vengono frequentate da grandi masse di ragazzi e bambini, e ciò in linea con la politica fascista del sostegno alle famiglie meno abbienti e di maggiore educazione e controllo delle future generazioni.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale cresce ulteriormente la notorietà delle colonie marine a cui vengono inviati bambini di tutte le classi sociali. Da una mappatura degli anni ’80 risulta che sulla sola riviera romagnola ce n’erano ben 246.

lunedì 8 ottobre 2012

65. Storie d'altri tempi, storie di autoproduzione


di Federica (orto sul terrazzo)

Mentre cercavo in internet delle testimonianze su come vivevano le nostre nonne, come organizzavano il lavoro di casa e quali attività svolgessero, mi sono imbattuta in un blog molto bello e interessante: altritempiraccontati.blogspot.it. Si tratta di una raccolta di testimonianze su come si viveva una volta, soprattutto nella prima metà del secolo scorso. Vi si trovano aneddoti e racconti per lo più su come si svolgeva la vita in campagna.
I miei preferiti sono i racconti della signora Armentina, nata e cresciuta in una famiglia patriarcale. Armentina spiega in varie occasioni come questi tipi di nucleo domestico riuscissero ad essere totalmente indipendenti ed in grado di autoprodurre tutto quanto servisse loro.

lunedì 17 settembre 2012

64. Come si fa l'aceto balsamico a Modena

Foto presa da: www.lanoce.it/it/about/acetaia/

 Un affare di famiglia
di    Silvana Abati


In tanti supermercati si vende, a basso prezzo, un aceto “balsamico” che delle acetaie modenesi non ha proprio nulla. E’ impossibile, infatti, acquistare a pochi euro un nettare che per arrivare sulle nostre tavole ha dovuto essere assistito amorevolmente per più di due decenni. Parola di modenese: se lo trovate lasciate perdere o, comunque, non chiamatelo aceto balsamico di Modena perché sarebbe una grande offesa per tutti quelli che si occupano di questo particolare prodotto.
Da quando sono nata ho sempre visto l’acetaia nel solaio di famiglia: ce l’aveva mio nonno,  mio padre e, quando mi sono sposata, l’ha realizzata anche mio marito. Ora che ho raggiunto una certa età, la nostra acetaia è passata ad un nipote, contagiato anche lui dalla passione per questa antichissima tradizione che affonda le radici nel Medioevo.
Poiché di aceto balsamico me ne intendo, quando mi è stato chiesto da Barbara di lasciare sul blog di “Altri tempi” la mia conoscenza su questo “cibo degli dei” non ho esitato un istante. La mia è tuttavia un’esperienza unicamente familiare perché le nostre acetaie sono sempre state realizzate ad  uso privato e non commerciale.

mercoledì 20 giugno 2012

63. Ufficio: evoluzione tecnologica dagli anni Sessanta in poi



Chi è entrato a lavorare negli uffici negli anni ’60 ha visto un’evoluzione epocale del modo di operare durante i quarant’anni seguenti a causa dell’arrivo di nuova tecnologia.
Allora era utilizzata soprattutto la macchina da scrivere meccanica e, negli uffici più evoluti, c’era quella elettrica. Per il calcolo, invece, la calcolatrice poteva essere elettrica, anche se non mancava quella azionata a manovella. Si è dovuto, tuttavia, aspettare la metà degli anni ’70 per veder circolare la prima calcolatrice tascabile. Di personal computer nemmeno l’ombra, essi sono arrivati solo alla metà degli anni ’80. Prima c’erano unicamente macchinoni enormi (inventati negli anni ’50 in America, ma arrivati negli uffici importanti verso la fine degli anni ’60 in Italia)  che occupavano intere stanze e che facevano calcoli considerati allora stratosferici, ma che un piccolo personal computer di adesso batte largamente.

Personalmente, ho seguito passo a passo tutta l’evoluzione.
Dalla penna inchiostro e calamaio sono passata alla biro. Poi, macchina da scrivere meccanica, una “Remington” che, ancora studentessa,  mi sono comperata con i primi soldi guadagnati facendo lavoretti.
La macchina da scrivere aveva un nastro che doveva essere cambiato quando si esauriva l’inchiostro. I tasti erano duri e bisognava battere forte con i polpastrelli delle dita per farli imprimere sulla carta. Per andare a capo, bisognava accompagnare il carrello con una mano.  Se si sbagliava a scrivere si strappava dal rullo la lettera, la si arrotolava e la si gettava nel cestino, ricominciando tutto daccapo.  Arrivò poi la possibilità di fare correzioni ( anni ’70), prima con il bianchetto, una specie di smalto bianco con cui si ricopriva la lettera o la parola sbagliata e poi lo stick, sempre con lo stesso principio del bianchetto ma ingessato in una cartina che si frapponeva fra tasto e foglio, permettendo piccole correzioni.
La macchina da scrivere divenne sempre più veloce grazie all’elettricità e Ibm ne inventò varie, tra cui una con una palla al posto dei caratteri tradizionali e un’altra che fece impazzire le segretarie perché ogni lettera aveva uno spazio diverso, secondo la grandezza e, quando si sbagliava, erano dolori perché le lettere non combaciavano più. Questo sistema, però, permetteva una scrittura molto armoniosa.

La rivoluzione della macchina da scrivere arrivò a metà anni ottanta: una Olivetti che memorizzava una riga prima di battere il testo sulla carta, e permetteva quindi una correzione più facile. Una vera rivoluzione che guardavamo con meraviglia non immaginando quello che sarebbe arrivato dopo.


Per la comunicazione dei dati arrivò la telescrivente o telex  una macchina che inviava informazioni via telefono. Ma non copiava nulla per cui bisognava scrivere tutto quello che si doveva mandare. Per velocizzare l’invio, e pagare quindi meno telefono, fu inventata una striscia che, man mano si scriveva il testo (non in diretta) veniva forata dai tasti del telex. Poi, durante la trasmissione, si inseriva la striscia e la macchina leggeva lo scritto che arrivava così molto velocemente in tutte le parti dei paesi industrializzati.

sabato 14 aprile 2012

62. La buona cucina nelle case borghesi del dopoguerra


di Nicoletta Barbarito

 Entro in una qualsiasi libreria e trovo libri di cucina a iosa, occupano interi scaffali.  Accendo la TV e anche lì cuochi e cuoche a non finire. Apro una rivista dal parrucchiere, idem.
E a casa? Nei piccoli paesi e nelle città di provincia, più o meno ricche e informate, ancora si cucina due volte al giorno, spesso in modo tradizionale. Nelle grandi città ho, invece, i miei dubbi. Le donne, lavorando fuori, hanno meno voglia e tempo di cucinare e i mariti, se e quando le sostituiscono ai fornelli,  a meno che non siano dei  fanatici gourmets -  e ce ne sono -   cucinano quanto basta per sopravvivere;  i piatti pronti da banco spopolano (nonostante i prezzi) e i giovani affollano di sera i punti di ristoro nutrendosi di roba unta, pizze e crostini.  Nei ristoranti, varietà di cibo di tutti i paesi,  sapori e terminologia sono ormai familiari: anche i bambini sanno cos’è il sushi. Vale la pena saperlo anche preparare?
Nei miei ricordi da subito dopo la guerra fino agli anni Cinquanta,  la cucina, anzi la buona cucina, nelle famiglie romane medio-borghesi,  è un elemento fisso, curato ma  senza particolari fronzoli,  la cui varietà e quotidiano successo sono dati per scontato. Far da cucina avendo mano svelta, naso fino e occhio attento non dava diritto a medaglie: roba da donne, la sapevano fare, la facevano e basta. La geografia era fattore discriminante, la cucina essendo  allora essenzialmente locale.  Cose oggi banali a livello nazionale, per  esempio il pesto o la pasta alla carbonara, erano praticamente sconosciute al di fuori del  loro luogo d’origine.
A casa mia, dove i fornelli erano di competenza della mia nonna materna,  golosa nonché ricca di fantasia,  erano tenuti in alta considerazione “Il Talismano della felicità” e “La Cucina romana”, entrambi opera di Ada Boni. Mia nonna si vantava di aver conosciuto l’autrice proprio  nella sua bella  abitazione all’ultimo piano di Palazzo Odescalchi, e  la citava con grandissima stima. In realtà quei due libri di ricette venivano ammirati più che usati da mia nonna (mia madre, invece, ne fece poi costante e devoto uso).  Mia nonna faceva tutto ad occhio e a memoria, conosceva un vasto numero di ricette, soprattutto  emiliane, che di divertiva anche a trasformare. 

domenica 1 aprile 2012

61. L'orologio del passato

«Che ora è?» «Quanto tempo mi rimane per finire questo lavoro?» «A Che ora devo venire?» «Mi raccomando, sii puntale perché dopo ho un altro appuntamento». Il tempo è la nostra ossessione moderna e, per ricordarcelo, abbiamo nella casa un’infinità di marcatori del tempo. Orologi elettronici, svegliette, timer… non c’è angolo del nostro alloggio dove non ce ne siano, oltre ai vari orologi da polso che possediamo perché, ovunque ci troviamo, dobbiamo sempre sapere esattamente che ore sono per riuscire a chiudere la giornata.  Viceversa, negli anni ’50 a casa di mia nonna c’era una sola sveglia, unica testimone del tempo che passava lentamente e che, quindi, non aveva bisogno di essere cronometrato.  Negli anni ’40 addirittura in casa non c'era  nulla e per sapere quando buttare la pasta bastava guardare l’ombra degli scalini dell'abitazione: quando arrivava al terzo scalino, era l’ora buona!

Ma la famosa sveglia, eccola qua, faceva un rumore infernale quando suonava per un appuntamento mattutino molto importante. Mi ha raccontato la Meris che quando studiava all’università faceva le ore piccole sui libri e, al mattino, malgrado il rumore assordante dell’orologio, non riusciva a svegliarsi per seguire i corsi. Allora, per essere sicura di sentire la sveglia, la posava su un piattino con tante monetine dentro. Solo così, con il baccano infernale che faceva il tutto quando si metteva a trillare e, quindi a vibrare, riusciva ad emergere dal sonno profondo. La Meris è diventata poi medico, e successivamente, medico condotto proprio a San Giovanni e dintorni. 

domenica 12 febbraio 2012

60. IL DENTISTA DEI TEMPI MIEI

Sono le tre di notte e un dolore lancinante mi fa schizzare fuori dal letto. E’ una stramaledetta carie che mi fa male da diversi giorni e si diverte a scegliere i momenti meno opportuni per tenere sveglia tutta la famiglia. Ho 9 anni e mia nonna ha cercato in tutti i modi di farmi andare dal dentista, ma io ho una tremenda paura.  Mi ha promesso di prestarmi la sua bicicletta, niente. Di farmi accompagnare dalla mia amata zia, niente. Di permettermi di andare al cinema il sabato successivo, senza dover prima addormentare mio fratello, e sempre niente. Ma questa volta non ne può più e, presto di mattina, mi prende per mano e mi accompagna a piedi dal dentista di Casina, una evoluta cittadina collinare che dista una decina di chilometri dal troglodita paese di San Giovanni.
Ci accomodiamo nella sala d’attesa, aspettando il nostro turno ed entriamo, ma appena vedo un omone grande, grosso, minaccioso, con il suo bel camice bianco venirmi incontro, comincio già a strillare. Il dentista non si scompone. Mi mette sulla sedia di forza e, a mo’ di anestetico, mi molla un potente ceffone che mi tramortisce e mi lascia a bocca aperta. Effetto perfetto per lui, che comincia tranquillamente il suo lavoro. Ovvero, mi toglie, senza complimenti (è proprio il caso di dire), tutto il dente, per una banalissima carie. 

domenica 8 gennaio 2012

59. LA GALLINA DELLA SUOCERA

Nel passato nei paesini si sapeva tutto di tutti e persino le galline, a cui veniva dato un nome, erano riconosciute dai loro proprietari che ne seguivano attentamente le abitudini. C’era, per esempio, una gallinella che, per deporre le uova, invece di andare nel proprio pollaio, preferiva il fienile del vicino. Domanda: a chi appartenevano queste uova, quando la Teresina, bella bella, usciva cantando coccodé dal sopraimputato fienile?  I contendenti  non andavano dall’avvocato solo perché ero costoso, ma il dilemma rimaneva e le liti pure.