martedì 29 marzo 2011

54. Guerra in Umbria: 1943, i ricordi di un ragazzino di allora

La guerra è stata ed è per quelli che si avvicinano agli ottanta un ricordo incancellabile. Questo blog, incentrato sui tempi passati, non poteva non tenerne conto. Ecco la lucida e interessante testimonianza di Giorgio Bechelloni di Città di Castello…..





Città di Castello, in Umbria, ha un nome che fa pensare a uno scenario di fiaba. E per i quattro ragazzi Bechelloni (fra cui io, Giorgio, nato nel 1930) − famiglia della quale si hanno notizie in Umbria fin dal Cinquecento – nelle vicinanze c’era un luogo veramente fiabesco: Villa San Savino.

Giunta a mia madre Laetitia per via ereditaria, e in origine una casa di caccia, è una villa di oltre 50 stanze, costruita nell’Ottocento in stile pseudo-rinascimentale toscano tipico della zona, circondata da un'ampia tenuta. Un particolare però la distingue da altre dimore del genere: la sua torretta è stata riconosciuta dalla Società Geografica Italiana come il punto trigonometrico dell’Italia centrale: insomma, segna esattamente il centro dell’Italia centrale!

Il cancello monumentale in ferro battuto, la “pergola greca”, cosiddetta per via delle antiche colonne provenienti da una villa in Toscana sempre dello zio proprietario originario di Villa San Savino, la limonaia, il parco dove si erge anche un mandorlo millenario, il vasto panorama sulla Val Tiberina: per noi ragazzini di città era un regno sconfinato, magico, di bellezza e libertà.

Alcuni miei incancellabili ricordi sono legati a Villa San Savino e vorrei menzionarli qui in occasione dell' anniversario dell’unità d’Italia.
Era il 1943. L’Italia era divisa in due, al Nord c’era la Repubblica Sociale sotto il tallone dei nazisti. A Roma si moriva letteralmente di fame, c'era il coprifuoco, la benzina era razionata, non c’era riscaldamento, si viveva nella paura. Una sera mia madre ci annunciò avvilita che l’intera cena della nostra famiglia consisteva in un’unica cipolla. Il po’ di carne che rimaneva era per la balia che allattava la mia sorellina di pochi mesi. Io scoppiai a piangere perché sentivo i morsi della fame.
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mercoledì 16 marzo 2011

53. VIVA L'ITALIA

Noi italiani abbiamo la fortuna di essere nati in uno dei paesi più belli del mondo. Da Nord a Sud i paesaggi sono da mozzafiato. I nostri antenati ci hanno lasciato un patrimonio urbanistico eccezionale. Siamo una terra di grandi geni che hanno arricchito il mondo con le loro idee: scienziati, poeti, scrittori, cineasti, santi, navigatori, musicisti, tenori, pittori, architetti. Il Dizionario biografico degli italiani, che raccoglie tutte le biografie dei più grandi e famosi, è arrivato al 70esimo libro e ne sono previsti 110!


Non può essere che si butti a mare tutto per mero interesse economico. Dobbiamo ricordarci che la ruota gira e, non è detto, che fra 20, 30 o 40 anni sia il Sud à essere più ricco.
Stringiamoci "a coorte", e siamo orgogliosi di questo paese!
Ringrazio i padri fondatori che hanno saputo realizzare il loro grande sogno unificando l'Italia che − anche nella mente di altri popoli − era già tale molto prima del 1861.
Auguri a tutti gli italiani.

VIVA L'ITALIA! UNITA E INDIVISIBILE.
Barbara Bertolini

domenica 13 marzo 2011

52. Il ricordo di un garibaldino per festeggiare l'Unità d'Italia

Anche questo blog vuole unirsi ai festeggiamenti per l'unità d'Italia. L'occasione me la dà Nicoletta Barbarito, che ormai conoscete perché dalla sua penna escono pezzi da grande "reporter"...
Ella scrive:


Ecco il mio piccolo contributo alle commemorazioni dell'anniversario dell'unità d'Italia:
la foto del mio bisnonno, Emilio de Lama, di Parma, che nel 1866, a 16 anni, scappò di casa per unirsi alle truppe di Garibaldi. Una bravata poco apprezzata dalla famiglia che comunque non gli avrebbe dato il permesso di partire.
La foto fu scattata a Brescia, punto di raccolta dei giovani di Garibaldi. La camicia rossa e il berretto rosso furono in seguito donati dalla figlia Albertina, mia nonna materna, al Museo garibaldino che si trova a Roma accanto annesso alla basilica di S. Maria degli Angeli a Roma.

Tutto quello che so di lui viene solo dai ricordi di mia nonna (la quale fisicamente gli somigliava moltissimo).
Era aitante, simpatico (da giovane anche gran burlone, scavezzacollo), con gli occhi azzurri, e una splendida voce da tenore. Cantava con le finestre aperte e i vicini lo applaudivano incantati. Sognava di calcare le scene del Teatro Regio di Parma, allora come adesso celebre tempio della lirica. Anche in questo caso però la famiglia de Lama - di piccola nobiltà provinciale e tradizionale - si dimostrò contraria.

Emilio ebbe una bambina dalla giovane moglie Marianna, di famiglia modesta, che morì di parto. Si risposò successivamente con Laudomia Toscani, una bravissima ragazza che faceva la sarta a Parma. I genitori, infastiditi da questo nuovo colpo di testa, costrinsero Emilio a lasciare Parma. Della famiglia di Parma mia nonna Albertina conservò fino alla morte una grande nostalgia, ricordandone la grande casa, i nonni imponenti (che lei, "la bimbina", chiamava Babbo Grande e Mamma Grande) che si esprimevano in dialetto parmigiano o in francese, la villa in campagna, i numerosi zii e zie, dei cugini dai nomi impossibili che amava ripetere ridendo: Azelia, Burcarda, Cadmo, Driope, Elle, Fillide, Glauco, Learco, Romano (quest'ultimo almeno se l'era cavata!). Su quei parenti raccontava vecchi e spassosi aneddoti, che evidentemente sapeva da suo padre. Se Emilio non fosse stato un giovane tanto "scomodo", Albertina avrebbe probabilmente avuto una vita più serena e agiata.
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martedì 8 marzo 2011

51. Quando l'insegnamento scolastico terminava in 3a elementare

Diploma di maturità, laurea, master, i giovani di oggi, in fatto di istruzione, non soffrono certo più di analfabetismo, anzi. Super istruiti, superpreparati culturalmente, hanno passato i primi vent'anni della loro esistenza nello studio delle conoscenze: in 10 mila anni di storia dell'umanità, è la prima volta che il sapere viene inculcato ad intere generazioni di ragazzi nel mondo intero!

Nessuno di loro può quindi immaginare in che condizioni andavano a scuola i loro nonni o bisnonni.

Nel piccolo paesino emiliano di San Giovanni, l'anno 1930 è lo spartiacque dell'istruzione. Quelli nati prima, andavano a scuola dell'obbligo solo fino alla terza elementare. Gli altri (generati dal 1930 al 1949) terminavano la quinta elementare. Dopo il 1960 l'obbligo, in Italia, si è esteso anche alle medie.

A raccontarmi l'istruzione rattoppata delle passate generazioni, ci prova Adele, nata sul finire degli anni venti del '900. Lei, rispetto alle sorelle maggiori, ha avuto la fortuna di fare qualche mese di quarta. Ma, come le altre, prima di andare a scuola, doveva portare a pascolare le pecore: alzata all'alba, poi via per campi e boschi, ritorno a casa con quelle maledette bestie che scappavano da tutte le parti, poi, grembiule, cartella, provvista di legna per la stufa durante l'inverno, e di corsa a scuola. Alle 8.30, come lei, tutti i bambini del paese si raccoglievano a Cà d'Funsin, in una stanza dove l'unica maestra, Teresa Munarini, impartiva le lezioni a tre classi contemporaneamente. Aste e punto il primo anno, per imparare a scrivere. Il secondo, un po' di aritmetica e di scrittura e, il terzo, scrittura, lettura e aritmetica.