mercoledì 20 giugno 2012

63. Ufficio: evoluzione tecnologica dagli anni Sessanta in poi



Chi è entrato a lavorare negli uffici negli anni ’60 ha visto un’evoluzione epocale del modo di operare durante i quarant’anni seguenti a causa dell’arrivo di nuova tecnologia.
Allora era utilizzata soprattutto la macchina da scrivere meccanica e, negli uffici più evoluti, c’era quella elettrica. Per il calcolo, invece, la calcolatrice poteva essere elettrica, anche se non mancava quella azionata a manovella. Si è dovuto, tuttavia, aspettare la metà degli anni ’70 per veder circolare la prima calcolatrice tascabile. Di personal computer nemmeno l’ombra, essi sono arrivati solo alla metà degli anni ’80. Prima c’erano unicamente macchinoni enormi (inventati negli anni ’50 in America, ma arrivati negli uffici importanti verso la fine degli anni ’60 in Italia)  che occupavano intere stanze e che facevano calcoli considerati allora stratosferici, ma che un piccolo personal computer di adesso batte largamente.

Personalmente, ho seguito passo a passo tutta l’evoluzione.
Dalla penna inchiostro e calamaio sono passata alla biro. Poi, macchina da scrivere meccanica, una “Remington” che, ancora studentessa,  mi sono comperata con i primi soldi guadagnati facendo lavoretti.
La macchina da scrivere aveva un nastro che doveva essere cambiato quando si esauriva l’inchiostro. I tasti erano duri e bisognava battere forte con i polpastrelli delle dita per farli imprimere sulla carta. Per andare a capo, bisognava accompagnare il carrello con una mano.  Se si sbagliava a scrivere si strappava dal rullo la lettera, la si arrotolava e la si gettava nel cestino, ricominciando tutto daccapo.  Arrivò poi la possibilità di fare correzioni ( anni ’70), prima con il bianchetto, una specie di smalto bianco con cui si ricopriva la lettera o la parola sbagliata e poi lo stick, sempre con lo stesso principio del bianchetto ma ingessato in una cartina che si frapponeva fra tasto e foglio, permettendo piccole correzioni.
La macchina da scrivere divenne sempre più veloce grazie all’elettricità e Ibm ne inventò varie, tra cui una con una palla al posto dei caratteri tradizionali e un’altra che fece impazzire le segretarie perché ogni lettera aveva uno spazio diverso, secondo la grandezza e, quando si sbagliava, erano dolori perché le lettere non combaciavano più. Questo sistema, però, permetteva una scrittura molto armoniosa.

La rivoluzione della macchina da scrivere arrivò a metà anni ottanta: una Olivetti che memorizzava una riga prima di battere il testo sulla carta, e permetteva quindi una correzione più facile. Una vera rivoluzione che guardavamo con meraviglia non immaginando quello che sarebbe arrivato dopo.


Per la comunicazione dei dati arrivò la telescrivente o telex  una macchina che inviava informazioni via telefono. Ma non copiava nulla per cui bisognava scrivere tutto quello che si doveva mandare. Per velocizzare l’invio, e pagare quindi meno telefono, fu inventata una striscia che, man mano si scriveva il testo (non in diretta) veniva forata dai tasti del telex. Poi, durante la trasmissione, si inseriva la striscia e la macchina leggeva lo scritto che arrivava così molto velocemente in tutte le parti dei paesi industrializzati.
Inventata alla fine del 1800 ci vollero vari ingegneri per mettere a punto la sua tecnologia. Solo a partire dal 1958 negli USA la Wester Union creò una vera rete. Il telex ebbe un grande ed immediato successo in tanti paesi del mondo proprio a partire dalla metà degli anni ’60.

Il grosso problema, fino all’invenzione della fotocopiatrice, era come duplicare i testi.   Per la macchina da scrivere c’era  un foglio copiativo a carbone che veniva interposto tra la lettera da scrivere e un foglio bianco sottostante molto più leggero dell’altro. Era così possibile fare copie delle lettere che si inviavano. Al massimo, però, si potevano fare tre copie perché, oltre, lo spessore tra rullo e carta era troppo e il testo della quarta copia risultava poco leggibile.


Per fare varie copie di comunicati si utilizzava il ciclostile.  Un attrezzo che venne impiegato fino alla diffusione delle fotocopiatrici.  Uno dei più famosi ciclostili fu quello realizzato dalle Brigate rosse che lo stamparono nel 1978!  Il ciclostile si trovava in tutti gli uffici importanti almeno fino a metà anni ’70.   Era composto da una carta particolare che veniva forata quando vi si scriveva. Una volta composto lo scritto, infatti, si passava un rullo che schiacciava il foglio sull’inchiostro che, a sua volta, ricopriva i buchi imprimendo nuovi fogli. Si potevano fare tante copie, anche se c’era un massimo oltre il quale lo scritto sbavava. L’accortezza era di tenere sempre puliti i tasti, che si sporcavano d’inchiostro facilmente, rendendo illeggibile la copia. Era un lavoro poco piacevole da fare, che richiedeva tempo. Una volta realizzata la copia la si doveva inoltrare solo via posta o consegnare a mano.

La fotocopiatrice fece andare in soffitta il ciclostile. Questo apparecchio, molto comune e indispensabile in ogni ufficio al giorno d’oggi, arrivò in Italia solo dopo la metà degli anni ’70. La fotocopiatrice era stata inventata nel 1934, prodotta però dalla Xerox solo nel 1949. Faticò a farsi strada per i vari problemi che presentava.

Per ovviare all’inconveniente della trasmissione delle lettere o documenti  originali,  arrivò  il telecopier o fax. Nel 1977 inviai il primo “telecopier” da Roma a Parigi, ricordo ancora l’emozione quando Parigi confermò per telefono di averlo ricevuto! Questo apparecchio, che prese poi definitivamente il nome di fax, ha permesso, per la prima volta nella storia dell’umanità, di inviare anche le riproduzioni originali, un’invenzione molto utile per lo scambio di corrispondenza da ufficio a ufficio in tempo reale.

E poi, signore e signori arrivò lui, lo strabiliante, l’incredibile computer. Una macchina che, poco a poco, ha preso il nostro posto:  «fatti più in là, arrivo io, il Signore della comunicazione scritta, il silenzioso e fedele traduttore dei tuoi desiderata: faccio tutto mi!»

Lo vidi per la prima volta da mio fratello, doveva essere tra il 1983-84. Mi entusiasmò con le sue descrizioni, ma poi, quando andai per far qualcosa, mi accorsi che dovevo digitare un codice per ogni lettera che scrivevo, il famoso “Pascal” e il mio entusiasmo si afflosciò per rinascere circa une decina d’anni dopo con l’arrivo di “Windows 3.1”o PS/2. Inventato da Microsoft (acquistato il brevetto da Olivetti - che errore!) e presentato dallo stesso Bill Gates nel 1990, il Windows 3.0 (poi 3.1)  arrivò velocemente in molte case di italiani, ma anche, con fatica, sulla scrivania di tanti lavoratori. All’avanguardia nel suo utilizzo le banche, seguite poi dalle aziende importanti, per finire anche negli uffici pubblici. Per entrare in questo primo computer non c'era il mouse ma si doveva digitare ancora C://, vi ricordate?

Per quelli che tentennano ancora o che hanno paura di questa macchina posso solo dire: Il computer è, contemporaneamente,  il presente e il futuro, bellezza!
Al computer dobbiamo anche, purtroppo, la sparizione di tanti posti di lavoro.
Barbara Bertolini -    tutti i diritti riservati

3 commenti:

Nicola ha detto...

Bella trattazione sull'argomento ma non sono d'accordo con la chiusura dell'articolo "Al computer dobbiamo anche, purtroppo, la sparizione di tanti posti di lavoro."

Non rende giustizia al computer. Il computer ha reso obsolete certe figure professionali creandone al contempo delle altre (programmatori, sistemisti, negozianti di elettronica ecc...)

Sarebbe, per fare un parallelo, come dire che l'auto ha fatto perdere il lavoro a maniscalchi e venditori di fieno per cavalli, omettendo, però, che contemporaneamente si sono create nuove figure come benzinai, meccanici, elettrauti, carrozzieri, gommisti ecc...

Saluti

Nicola

Barbara ha detto...

Hai ragione, ma mi riferivo al fatto che il computer, con le sue grandi possibilità, è in grado di prendere il posto delle persone. Ho letto da qualche parte che di qui a cinquant'anni pochissimi lavoreranno perché ci saranno i robot che ci sostituiranno in tutto e per tutto. Dove ci volevano 100 infermieri, ne basteranno dieci. Grazie per il tuo intervento

Barbara ha detto...

Aggiungo un'altra cosa, nell'articolo del Corriere della Sera "Verso la civiltà del dopolavoro", l'articolista dice che è la prima volta nella storia dell'umanità che l'era dei robot spazzerà via tanti mestieri senza crearne di nuovi...