lunedì 2 marzo 2015

89. Le balere del tempo passato, come i giovani si divertivano negli anni ’40-‘60

Balli nell'aia (Serena Ranieri)


di Barbara Bertolini


Abbiamo tutti sentito parlare della balera,  la discoteca del passato, la sala da ballo formato economico dei nostri genitori, nonni  o bisnonni, maliziosa e galeotta poiché  ha permesso di poter avvicinare la persona desiderata, in tempi in cui non era possibile nessun contatto con l’altro sesso. 

L’Emila Romagna è considerata per eccellenza la patria della balera.  Ed è emiliana la novantenne signora Armentina Bonini,  a cui mi rivolgo per attingere informazioni sul passato poiché i suoi ricordi sono nitidi.

Lei le balere se le ricorda, eccome! Aveva 16 anni quando, nel lontano  1940, in occasione di San Genesio, la festa patronale, si allestì  nel suo paese una balera: quattro assi di legno messi insieme con sopra un telone e, come strumento musicale, una fisarmonica, ed hop: «Entrino signorine e signori, entrino!». Fu una serata memorabile. Certo, le signorinelle erano accompagnate dalla mamma che si godeva lo spettacolo e che avrebbe voluto anche lei ballare, ma che  ormai  le rimaneva solo il ruolo di guardiano:  attenta ai baci rubati, alle mani leste, alle parole di troppo. Se qualcosa  insospettiva, la mamma-guardiana richiamava subito la figlia.  E, dunque, i giovani dovevano stare molto accorti a non farsi sgamare nei loro messaggi amorosi. Ma malgrado il controllo a vista, Armentina ricorda che si divertì un mondo e ballò sulle note di… Fiorin fiorello l’amore è bello vicino a te, mi fa sognare, mi fa tremare chissà perché…  (cantata di Luciano Tajoli, cliccateci sopra per sentirla anche voi).

Però, in quel periodo di magra, bastava qualcuno che avesse un  organetto a bocca per improvvisare una balera nell’aia di casa. Se il suonatore non era molto bravo e faceva storie, gli si diceva, come riferisce Armentina: « O cat son o cat sunom  (o che suoni o che ti suoniamo)» e, il poveretto, non aveva scampo.  D’altronde la società contadina di quel tempo non aveva che il ballo e il canto per divertirsi e far divertire i giovani.  Comunque, l’occasione per ballare per i ragazzi di allora era quasi esclusivamente durante  le feste patronali che arrivavano per lo più d’ estate, dopo che si era raccolto il grano. Ogni paese aveva la sua  e bastava essere invitati dai vari parenti per poter  continuare a fare quattro salti e divertirsi.
Bronsescoverte

Però l’Armentina era esigente con i suoi cavalieri: o sapevano ballare bene o li scartava. Insomma, contrariamente a quello che facevano molti uomini i quali  ̶  come mi ha confessato mio cugino Luigi  ̶  ballavano perché era l’unica occasione che avevano per potersi strusciare a qualche ragazza, le donne, invece,  danzavano  per il vero piacere del ballo!

ANNI ‘50
Venendo un po’ più avanti nel tempo, arrivando agli  anni ’50, è Ines che mi lascia i suoi ricordi in merito. Cominciano a vedersi i primi spiragli di emancipazione femminile, e lei, infatti, può andare con la sorella a ballare nelle case di amici. Ricorda in particolare quando furono invitate in aperta campagna, vicino a Casina. Dovettero farsi  cinque km a piedi nella neve (coi tacchi). Solo che, appena dato il via alle danze arrivarono i Carabinieri, chiamati da qualche invidioso che non aveva avuto l’invito. Gli uomini, per non avere rogne, saltarono tutti dalle finestre, ma le ragazze, con le loro gonne strette non poterono. Fu così che chi si trovava nella sala dove si ballava fu identificata  e convocata il giorno dopo  in caserma. Alla ragazza non fu molto difficile convincere i militi perché l’argomento che presentò per discolparsi era più che razionale: «Come fate a pensare male di me se sono sposata da appena un mese?», disse (anche il marito era saltato dalla finestra come gli altri).   

Durante i mesi estivi, dagli anni ’50 agli anni ’60, le balere  continuarono a dominare le piazze dei paesini emiliani e romagnoli  in occasione delle  feste del Santo patrono, con i famosi “calcinculo”, le giostre per i ragazzini.  Si ballava anche  nei  matrimoni  e, in questa occasione, tutto il paese era invitato poiché si svolgeva quasi sempre nell’aia di casa della sposa.  I giovani, comunque, cominciavano ad organizzarsi pure nelle case. Poiché in molti paesi non era ancora arrivata l’energia elettrica, i pochi che avevano  un grammofono a mano lo piazzavano  in una stanza e via… si aprivano le danze: sempre sotto l’occhio attento di mamme e nonne; non esageriamo con l’emancipazione!

Nei paesi dove il clero aveva molto potere, capitava però, come a San Giovanni di Querciola, che il suo parroco, don Reverberi (per non fare nomi),  trovando troppo peccaminoso il ballo, lo vietasse, senza che nessuno potesse opporsi, rovinando così quasi tutte le feste.

DISCOTECHE
Nei primi anni ’60 apparirono le prime discoteche. Già la parola “disco” dà la misura del cambiamento. Infatti,  la televisione fa conoscere i nuovi cantanti, grazie al “Festival di San Remo” che tiene incollata al piccolo schermo tutta l’Italia.  Queste canzoni si possono successivamente  ascoltare sui  45 giri, dischi più piccoli che si mettono in giradischi portatili o sulle cassette che si inseriscono nel mangianastri, funzionanti gli uni e gli altri quasi sempre a pile, anche se l’elettricità è arrivata ormai dappertutto.
Dance

In quegli anni la balera è sempre il fulcro della festa paesana,   solo che l’orchestra diventa più completa. C’è  il o la cantante  e, la fisarmonica, è sostituita da  batteria, chitarra elettrica, clarinetto, sax, ecc... Una vera rivoluzione portata dagli “urlatori” che hanno abbandonato la canzone melodica.   E i giovani si dimenano con il twist, il cha cha cha, mentre il “ballo della mattonella” rimane per gli innamorati. Insomma, dalla metà degli anni ‘60 arriva tutt’altra musica e tutt’altro ballo.
Barbara Bertolini ©2015 Tutti i diritti riservati

Nessun commento: