domenica 5 ottobre 2014

86. La vendemmia e la pigiatura dell'uva negli anni '50


Ai tempi miei la scuola ricominciava ad ottobre. I pargoli erano una forza lavoro non indifferente per l’agricoltura  e, in una nazione in cui più del 60% dei suoi abitanti lavorava la terra, si tenevano in gran considerazione i lavori dei campi che si concludevano, per i bambini, con la raccolta dell’uva.  Ecco perché non si andava a scuola fino al primo di ottobre.

Il vigneto nella famiglia contadina ha occupato sempre un posto di rilievo. Esso veniva seguito nell’arco di tutte le stagioni con i lavori di potatura, legatura e piegatura dei tralci,  zappatura del terreno, della cimatura e, infine, della protezione dell’uva dai predatori naturali  come gli uccelli.

Questo ultimo compito mi era stato assegnato da mio nonno a “Camp ad Mazat” dove una bella e generosa vigna di Lambrusco, che si spandeva sui filari stesi tra gli alberi di quel campo, attirava l’ingordigia dei vari volatili .  Non era servito a nulla mettere uno spaventapasseri fatto con gli stracci di casa; l’unico antidoto a questi animali famelici  ̶  decretò mio nonno  ̶  era una persona in carne ed ossa che li facesse fuggire. Ecco perché ero stata promossa, a 9 anni, “spaventapasseri ufficiale”.

In questa veste, sola soletta, in un grande campo situato in una zona sperduta che confinava con un bosco rado di sterpi e ginepri  mi spostavo su e già per il campo strillando a squarcia gola appena vedevo un uccello avvicinarsi ai preziosi chicchi. Era un mestiere, questo, che mi piaceva tantissimo, mi dava totale libertà e mi faceva sentire utile poiché  le mie grida tenevano lontane le bestie. Quando mi ero stancata, mi allungavo vicino a una fresca sorgente, sbucata lì per caso, ma la cui acqua era di una limpidezza invidiabile e lì lasciavo galoppare la mia fantasia popolata da castelli fatati e animali parlanti.  

LA VENDEMMIA

Prima di qualsiasi vendemmia era importante la cura con cui i contadini dovevano lavare ed aggiustare i contenitori del vino dell’anno prima come tini, botti e damigiane: operazione che veniva fatta nei giorni precedenti la raccolta dell’uva.

A questo punto si poteva procedere alla vendemmia. In una bella giornata di sole, che non mancava mai, tutta la famiglia arrivava sul carro dei buoi con le scale, i cesti e le cesoie.  E via a raccogliere i preziosi chicchi scartando quelli che si erano imputriditi. La vigna veniva ripulita di tutta l’uva: non ne rimaneva nemmeno un piccolo grappolo.  Questa operazione veniva fatta in  allegria e, per l’ora di pranzo, grandi cesti erano già stati riempiti con cibo squisitissimo che mangiavamo seduti nel prato: erano stati aggiunti anche due bei fiaschi di vino dell’anno prima mentre, per la frutta, avevamo alberi di fichi, di mele, di pere a portata di mano. Da bere, per i piccoli, c’era l’acqua sorgiva. Erano giornate intense e faticose, ma nessuno di noi avvertiva la stanchezza, scacciata dalle canzoni che intonavamo in coro insieme a belle risate.

LA PIGIATURA A MANO DELL’UVA
La pigiatura dell'uva

Tuttavia, per noi bambini,  il momento più bello della vendemmi arrivava il giorno dopo, quando l’uva veniva posta in un lungo contenitore, una specie di cassapanca di legno  aperta in alto,  per essere pigiata.  La cassapanca veniva messa a circa un metro  dal suolo e vi veniva fatto un buco che permetteva al mosto di fuoruscire per essere raccolto con un secchio che veniva poi versato in una vasca di fermentazione. Questo liquido, al massimo dopo una settimana, veniva versato nella botte. Il tempo di questa fermentazione dipendeva dal tipo di uva e dal luogo di produzione. L’uva non veniva mai lavata perché questa operazione poteva bloccarne la fermentazione.  

La cosa strabiliante per noi piccoli era che, cosa rarissima, i bei lavori, una volta tanto venivano assegnati a noi, ovvero erano i bambini che dovevano entrare in questo contenitore e, con i loro piedini,  pigiare i chicchi. Che gioco bellissimo questa pigiatura! Sotto i nostri piedi sentivamo spaccarsi l’uva che schizzava contro le pareti e  sguazzavamo all’infinito in un liquido odoroso, senza che nessuno ci sgridasse.  

Dopo questa pigiatura, delle vinacce rimaste c’era una successiva torchiatura il cui composto che fuoriusciva  poteva essere trasformato in “grappa”, per gli esperti o “acquaticcio”, un vinello che doveva essere bevuto, però, nei tre giorni seguenti.

Dopo la prima fermentazione il contadino raccoglieva il “vino fiore” che veniva versato nelle botti per diventare Lambrusco, Trebbiano, Sangiovese…   Il primo “vinello” era già pronto per San Martino (11 novembre). 

Dopo la vendemmia si mettevano da parte i più bei grappoli di uva bianca dolce, che  venivano appesi alle travi della cantina per essere essiccati . I grappoli di uva passa erano poi offerti per il cenone di fine d’anno come augurio di prosperità (chicchi = soldi).

Non mancava anche un dolce fatto con il mosto a cui si aggiungeva la farina, il “sugo d’uva”,  che assumeva un bel colore violetto e che si poteva mangiare solo nel periodo della vendemmia. Qui sotto la ricetta di mia mamma :

RICETTA DEI SUGHI D’UVA

Ingredienti: succo d’uva, farina, zucchero.
Per ogni bicchiere di succo d’uva raccolto dalla pigiatura un cucchiaino raso di farina e un po’ di zucchero.  
Il sugo va passato al colino perché sia perfettamente pulito e  non vi rimanga nulla della pigiatura.
 A questo punto lo si mette in un tegamino e lo si fa bollire avendo cura di togliere la schiuma che si forma.  Una volta pronto (5’ di bollitura) lo si lascia raffreddare.  Quando diventa freddo  lo si amalgama  ben bene con  la farina e lo zucchero e lo si riporta ad ebollizione mescolando continuamente fino a che diventi un composto denso e cremoso. A quel punto è pronto. Lo si lascia di nuovo raffreddare e  lo si può servire fresco di frigo.


Buona vendemmia!  -  Barbara Bertolini ©2017tutti i diritti riservati

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