sabato 15 febbraio 2014

80. GHEDDAFI e le suore italiane da lui volute in Libia

suore all'ospedale El Beida
In questo blog, grazie all’amica Maria Genta, ho potuto parlare della Libia ai tempi di re Idriss (vedere post 6,7,8 e 15) . Ora, un’interessante testimonianza di una suora, le cui consorelle vi hanno vissuto per vent’anni, ci permette di capire meglio la mentalità libica e, soprattutto, il dopo Gheddafi che ben pochi politologi sembrano aver afferrato.


Mi ha raccontato, infatti,  Suor AnnaMaria dell’esperienza delle consorelle della sua Congregazione.
 Le religiose erano state chiamate dall'allora Papa Paolo VI al quale Gheddafi stesso aveva chiesto delle suore per l'ospedale di El Beida. Il rais libico era stato colpito, in effetti, dalla cura e dalla dedizione di due suore francescane, che avevano assistito nell'agonia e nella morte, con grande competenza e amore, il padre colpito dai bombardamenti di Reagan alle caserme in cui viveva la famiglia del capo libico.


Così, sono partite sei suore infermiere, prelevate dall'ospedale di Biella che non ha visto molto bene la cosa, poiché, tra i medici, ve n’era qualcuno che era stato buttato fuori dalla Libia. La Chiesa, però,  appoggiò questa richiesta perché con le Suore poteva entrare anche qualche frate sacerdote per assicurare l'assistenza spirituale delle Suore stesse (questa era la ragione ufficiale). La ragione vera, oltre a quella già detta, era che il sacerdote poteva recarsi nelle oasi e nelle grandi installazioni petrolifere dove lavoravano filippini, polacchi, africani ed altri, tutti cattolici, ed esercitare il suo ministero. C’è da tenere presente che tutti i libici sono musulmani, per cui la Chiesa voleva solo portare un conforto agli stranieri in Libia che professavano la propria religione.

Le francescane sono rimaste 20 anni, stimate ed apprezzate sia dalla gente che dalle autorità. Le Suore vivevano al ritmo della religione islamica. Avevano dovuto sostituire il crocifisso, proibito in terra d’Islam, con una medaglia della Madonna. Purtroppo per loro, è stato molto difficile  curare le persone, perché l’ospedale aveva pochissimi medicinali e la morte per coma diabetico, per esempio, era normale. La cosa abbastanza fastidiosa per chi doveva lavorare in queste strutture era che se qualcuno della famiglia doveva essere ricoverato, soprattutto la donna, tutta la famiglia si installava nella camera dell'ospedale fino alla sua dimissione.

Ha raccontato Suor Celeste (appartenente ad un’altra Congregazione), che ha vissuto in Libia per 28 anni,  i libici:  «Sapevano perfettamente  che eravamo religiose e cattoliche,  ma attraverso il lavoro quotidiano con malati e soprattutto con gli anziani essi avevano notato in noi una umanità diversa dalla loro, che li aveva sorpresi. Per questa ragione,  la nostra è una Chiesa del silenzio. Aiutando in modo gratuito e con amore chi soffre, testimoniamo il messaggio di Gesù fra popoli di altre fedi. Ogni giorno i parenti di queste persone ci ringraziavano definendoci “angeli in terra”'». 

Dopo vent’anni,  e prima degli avvenimenti che hanno funestato la Libia, le francescane, tuttavia,  sono partite per tornare il Italia per le vacanze estive e non sono più tornate in quel paese. La vacanza è stata una tattica che hanno adottato, perché se avessero chiesto i dovuti permessi per rientrare, non solo non li avrebbero ottenuti, ma le autorità locali avrebbero visto la cosa come un torto a chi  le aveva chiamate (ovvero Gheddafi).

A queste suore, che hanno passato diversi anni in Libia, e conoscono meglio di altri questo popolo, è stato chiesto  cosa potrebbe succedere ora che non c'è più Gheddafi. Esse  hanno risposto che un altro prenderà il suo posto perché la "democrazia", che gli occidentali desidererebbero si attuasse in Libia, è contrastata ferocemente dai vari clan di cui è formato questo grande paese,  e che la considerano inconcepibile.
Barbara Bertolini - Tutti i diritti riservati

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