mercoledì 18 maggio 2016

95. Una lavagna, il…computer della mia infanzia

Siamo negli anni ’50, i genitori di Rita Frattolillo, seconda di quattro figlie, decidono di non mandarla a scuola ma di tenerla a casa a badare alle sorelline più piccole. La mamma e il papà sono insegnanti e, quindi, all’educazione scolastica penseranno loro. Ecco i ricordi di Rita di questa inusuale esperienza:
***


Per quanto possa sembrare strano, a casa mia tra tutte le camere preferivamo la cucina.
La domenica, quando tutti erano liberi dal lavoro e non c’era fretta, ci piaceva indugiare intorno alla grande tavola apparecchiata per la prima colazione, e, tra un sorso e l’altro di caffelatte, chiacchierare del più o del meno. E fare il programma della giornata, che spesso comprendeva un’escursione fino a un certo castello o a quel tale sito archeologico.
Nelle lunghe sere d’inverno, poi, pur se ogni stanza aveva il proprio camino, ci piaceva sederci in circolo intorno a quello della cucina, dove, con gli occhi stregati dallo sfavillio dei carboni che ardevano nel focolare, seguivamo in silenzio i “cunti” di paese raccontati dalle vecchie donne di casa.

Ma quella grande e ariosa cucina  della mia infanzia è stata  - anche e soprattutto - la palestra della mente e la fucina dell’intelletto per  noi ragazze, ben quattro.
E’ anche lì, e qualunque momento era quello buono, che siamo state educate ad amare il sapere e lo studio, che abbiamo imparato a conoscere i grandi della letteratura e della filosofia: avete presente i refettori medievali? Bene, sapete che mentre i monaci mangiavano, uno era addetto alla lettura di un testo sacro….
Nella nostra cucina, naturalmente, non si leggevano e commentavano passi dei Vangeli, ma  vi assicuro  che erano brani altrettanto formativi. Quelle pareti sono risuonate delle parole di Manzoni, Verga, Dante, Pirandello, Agostino, Rousseau, Platone, Sciacca.  Dumas, invece, aveva meritato un trattamento speciale perché considerato “scandaloso” per le nostre orecchie innocenti, e solo Robin Hood ci era stato consentito.

Poi, un giorno, apparve una grande lavagna. Fu posizionata ad una parete, bene in vista e sempre…pronta per essere scritta! Da quel momento la cucina divenne ancora di più  lo scenario del nostro apprendimento scolastico. Infatti, per poterci “torchiare”  ̶  specie in latino e matematica ̶  in qualunque momento, i nostri genitori avevano optato per uno strumento didattico che consentisse il controllo delle nostre esercitazioni senza distogliersi dalle  loro faccende.


Credo di essere stata la prima a fruire di tale “comodità”, dal momento che ho visto i banchi di scuola direttamente in prima media. Sì, perché nel frattempo era nata la mia ultima sorellina, e siccome mamma, insegnante elementare, si era stancata delle lune delle varie ragazzotte che si alternavano in qualità di baby sitter, fu deciso che io  ̶ perché no? ̶  potevo benissimo fare la scolaretta …domestica badando anche alla piccola.

Detto fatto.
Ed ecco come si articolava  la mia nuova giornata. La mattina ero meglio di Speedy Gonzales.
Infatti, dopo che erano tutti usciti, mi dovevo spartire tra badare alla bébé, avviare il pranzo approfittando del focolare acceso, fare i compiti scritti e orali che mamma mi aveva assegnato e  che,  appena tornata da scuola, mi avrebbe corretto  ̶  a voce  ̶ mentre finiva di cucinare.
Ricordo ancora oggi, come se fosse ieri pur se è passata una vita, che una mattina mi sono spaventata a morte perché Rosa, che non era andata all’asilo, aveva voluto cullare la piccola Maria. Ma poi, ci aveva preso gusto, e, a forza di spinte, bambina e materassino si ribaltarono con la pesante culla. A sentire il tonfo, sono corsa temendo il peggio: era Rosa che piangeva per la sua malefatta, mentre la piccola, sepolta sotto lenzuola, materasso e culla, era rimasta zitta e fortunatamente…illesa!

Dopopranzo entrava in servizio regolare la lavagna, dove, gesso alla mano, rinforzavo le mie cognizioni.
Mamma era dolcissima, ma sapeva diventare severa e, siccome era molto “pignola”, sulla lavagna si moltiplicavano numeri in colonna, unità di misura, operazioni con la virgola (specie le divisioni).
Quante volte ho ripetuto le tabelline! Lei aveva il pallino della matematica, avrebbe voluto laurearsi in quella disciplina, ma arrivarono prima mio padre, le nozze, e  i figli. Quindi, lei indugiava volentieri nella sua materia preferita; ma non per questo trascurava l’analisi grammaticale. Invece la grande passione di papà era il “latinorum”: quando andavamo per siti archeologici ogni iscrizione latina era la nostra. Lui, seduto su una pietra, ci sollecitava alla traduzione, e guai se eravamo incerte! Perché in quel caso, infieriva chiedendoci la tale declinazione o quella eccezione… Noi intanto bruciavamo nel sentirci addosso lo sguardo dei turisti che meravigliati seguivano la nostra  involontaria performance, ma papà continuava imperterrito finché la decodifica non era completata…
Tornando ai nostri pomeriggi, quando i miei doveri di scolara e tutto il resto erano assolti, mamma apriva la rivista “Scuola e Didattica “ a cui era abbonata per aggiornarsi, e io, finalmente, ritrovavo la mia libertà.
 Era lo spazio dei giochi collettivi, che vedevano in azione noi sorelle assieme alle bambine del vicinato.
Ognuna ci metteva la sua creatività, e si trovava  tempo  pure per confidarsi storie di lupi mannari (uomini nati la notte di Natale, che si trasformano in lupi cattivi, ululano sotto ai balconi e… rapiscono i bambini) o di “ janare”, le streghe malvagie.
Molti anni dopo, davanti alle dispense di filologia, ho scoperto che “ janare” è una contaminazione del termine “Diana”.

 Comunque, devo dire che io e Angela, una paura ce l’avevamo, e non ci vergognavamo a raccontarla: lungo la strada che ci portava verso casa, un portone ci inquietava al punto da infestare le nostre notti con brutti sogni, per via che sulle sue grandi ante erano inchiodati due uccellacci con le ali aperte.
 Fatto sta che, giunte all’altezza di quel portone, prendevamo la corsa cercando di non guardare da quella parte, che però aveva un oscuro potere su di noi, tanto che la nostra nottata si popolava di strane presenze alate che saettavano  tra nuvoloni  gonfi e lividi,  pronte ad afferraci con gli artigli aguzzi . …

 Ma le nostre paure si dileguavano presto. Bastava saltare dall’alto delle balle di fieno accatastate in buon ordine nelle stalle; era incredibile la sensazione di benessere quando si sprofondava nel soffice tappeto di paglia che ci accoglieva ad ogni caduta; ci scuotevamo veloci i fili di dosso ed eccoci pronte per il prossimo salto; le più paurose erano “curate” con una bella spinta decisiva.

 Nei nostri scatenati pomeriggi alla Pippi calzelunghe facevamo l’altalena sulle lunghe stanghe dei carri che stazionavano nei cortili, andavamo a cavallo, e allora, trottando o al passo, vedevamo tutto dall’alto e ci sentivamo alla conquista del mondo. Oppure sferragliavamo in tre o quattro sulla stessa bici. Come facevamo? La più piccola sul manubrio per non togliere la visuale, un’altra sulla sella, una in piedi a pedalare e l’ultima seduta sulla ruota posteriore…Neanche le sbucciature e le cadute ci fermavano, anzi continuavamo imperterrite fin quando ci sorprendevano, a tradimento, le prime ombre della sera. Era quello il segnale del rientro.

Rita Frattolillo

2 commenti:

Barbara ha detto...

Quello che non ci dive Rita è come abbia accettato questa situazione, ovvero di non andare a scuola per badare alle sorelline più piccole. Dal punto di vista scolastico non le è mancato nulla, soprattutto se si considera la sua attuale grande preparazione culturale, ma dal punto di vista umano le è mancato il confronto con gli altri scolari. Un bene o un male???

rf ha detto...

Certo, cara Barbara, non ho avuto scolare per confrontarmi, alle elementari, ma non mi è mai pesato, perché in compenso ero ricca di..sorelle e amichette; in casa, poi, giravano diversi libri di favole,e a quattro anni già mi arrangiavo a leggere, per cui continuare in casa non mi è sembrata questa cosa eccezionale. Ho avuto un'infanzia felice,piena di novità, di curiosità e di stimoli all'apprendimento a cui va la mia mente ancora oggi con gioia. Il mio primo giorno di scuola, alle medie, fu, quello sì, davvero...speciale:ricordo che mi sentivo come un'aliena, non avevo dimestichezza con i ritmi imposti dal nuovo ambiente, ma ho fatto presto ad inserirmi e ad avere nuove amicizie.