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suore all'ospedale El Beida |
In questo blog, grazie all’amica
Maria Genta, ho potuto parlare della Libia ai tempi di re Idriss (vedere post
6,7,8 e 15) . Ora, un’interessante testimonianza di una suora, le cui
consorelle vi hanno vissuto per vent’anni, ci permette di capire meglio la
mentalità libica e, soprattutto, il dopo Gheddafi che ben pochi politologi
sembrano aver afferrato.
Mi ha raccontato, infatti, Suor AnnaMaria dell’esperienza delle
consorelle della sua Congregazione.
Le religiose erano state chiamate dall'allora
Papa Paolo VI al quale Gheddafi stesso aveva chiesto delle suore per l'ospedale di El Beida. Il rais libico
era stato colpito, in effetti, dalla cura e dalla dedizione di due suore
francescane, che avevano assistito nell'agonia e nella morte, con grande competenza e amore, il padre colpito dai bombardamenti di Reagan alle caserme
in cui viveva la famiglia del capo libico.
Così, sono partite sei suore infermiere,
prelevate dall'ospedale di Biella che non ha visto molto bene la cosa, poiché,
tra i medici, ve n’era qualcuno che era stato buttato fuori dalla Libia. La
Chiesa, però, appoggiò questa richiesta
perché con le Suore poteva entrare anche qualche frate sacerdote per assicurare
l'assistenza spirituale delle Suore stesse (questa era la ragione ufficiale). La
ragione vera, oltre a quella già detta, era che il sacerdote poteva recarsi
nelle oasi e nelle grandi installazioni petrolifere dove lavoravano filippini,
polacchi, africani ed altri, tutti cattolici, ed esercitare il suo ministero. C’è
da tenere presente che tutti i libici sono musulmani, per cui la Chiesa voleva
solo portare un conforto agli stranieri in Libia che professavano la propria
religione.
Le francescane sono rimaste 20
anni, stimate ed apprezzate sia dalla gente che dalle autorità. Le Suore
vivevano al ritmo della religione islamica. Avevano dovuto sostituire il
crocifisso, proibito in terra d’Islam, con una medaglia della Madonna.
Purtroppo per loro, è stato molto difficile curare le persone, perché l’ospedale aveva
pochissimi medicinali e la morte per coma diabetico, per esempio, era normale. La
cosa abbastanza fastidiosa per chi doveva lavorare in queste strutture era che
se qualcuno della famiglia doveva essere ricoverato, soprattutto la donna,
tutta la famiglia si installava nella camera dell'ospedale fino alla sua
dimissione.
Ha raccontato Suor
Celeste (appartenente ad un’altra Congregazione), che ha vissuto in Libia per 28
anni, i libici: «Sapevano perfettamente che eravamo religiose e cattoliche, ma attraverso il lavoro quotidiano con malati
e soprattutto con gli anziani essi avevano notato in noi una umanità diversa
dalla loro, che li aveva sorpresi. Per questa ragione, la nostra è una Chiesa del silenzio. Aiutando
in modo gratuito e con amore chi soffre, testimoniamo il messaggio di Gesù fra
popoli di altre fedi. Ogni giorno i parenti di queste persone ci ringraziavano
definendoci “angeli in terra”'».
Dopo vent’anni, e prima degli avvenimenti che hanno funestato
la Libia, le francescane, tuttavia, sono
partite per tornare il Italia per le vacanze estive e non sono più tornate in
quel paese. La vacanza è stata una tattica che hanno adottato, perché se
avessero chiesto i dovuti permessi per rientrare, non solo non li avrebbero
ottenuti, ma le autorità locali avrebbero visto la cosa come un torto a chi le aveva chiamate (ovvero Gheddafi).
A queste suore, che hanno
passato diversi anni in Libia, e conoscono meglio di altri questo popolo, è
stato chiesto cosa potrebbe succedere
ora che non c'è più Gheddafi. Esse hanno
risposto che un altro prenderà il suo posto perché la "democrazia",
che gli occidentali desidererebbero si attuasse in Libia, è contrastata
ferocemente dai vari clan di cui è formato questo grande paese, e che la considerano inconcepibile.
Barbara Bertolini - Tutti i diritti riservati
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