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Pane emiliano |
La donna, nella sua storia millenaria, ha sempre fatto tutto a mano e, questo, fino agli anni '50 del secolo appena passato, quando improvvisamente è esplosa la modernità. Però, in quegli anni, in molti paesini
dell’Appennino e delle Alpi non era giunta questa ventata poiché non avevano l’energia elettrica e, quindi, non possedevano gli elettrodomestici, tra cui il frigorifero, che era comunque una rarità anche nelle famiglie più benestanti
perché molto costoso. Difettando questo
elemento, le casalinghe utilizzavano il savoir
faire che si era tramandato da generazioni.
Per esempio, la “pasta
madre”, era uno degli ingredienti
più importanti da avere sotto mano poiché era indispensabile per lievitare il
pane che veniva fatto rigorosamente in casa ma, anche, per la realizzazione di dolci. Nessuno
comperava il lievito di birra, quello che ora si trova in tutti i
supermercati e che deve essere conservato in frigo. Questo discorso valeva anche per l'aceto.
La “pasta madre” è un semplice
impasto di acqua e farina che si lascia fermentare e che, se accudito, cresce
all’infinito e non muore mai. In questo impasto di farina e acqua proliferano
lieviti e batteri fondamentali per la lievitazione.
Per realizzarla bisogna impastare
circa 200 gr. di farina con un bicchiere
di acqua tiepida (certe massaie, aggiungevano un cucchiaino di miele) fino ad
ottenere una piccola palla morbida e
liscia. Bisogna riporre questo primo impasto in una ciotola coperta da un panno
umido e lasciarlo riposare a temperatura ambiente per 48 ore prima di veder
apparire un leggero rigonfiamento dell’intruglio.
Questo primo impasto, deve essere
“rinfrescato” ovvero lo si deve stemperare nell’acqua tiepida e, una volta
sciolto per bene, bisogna aggiungere la farina
come sopra per dare da mangiare nuovi zuccheri al lievito. E’ solo da
questa successiva procedura di rinfresco, fatta per circa una settimana, che la
“pasta madre” sarà pronta da utilizzare e che farà lievitare il vostro pane in 3-4
ore.
La Signora Armentina, la decana
di questo blog, dice che in casa sua la palla di “pasta madre” veniva sciolta
la sera prima nell’acqua tiepida poi, si metteva la farina per il pane che si
desiderava realizzare in un ciotolone, vi si faceva un bel buco nel mezzo e, in
questo buco, vi si versava il composto ottenuto, lo si ricopriva con tutta la
farina e lo si lasciava così tutta la notte. Il mattino, l’impasto era perfetto
per fare il pane. Impasto che, però, andava lavorato e lavorato, perfino
passato tra due bastoni che fungevano da
rulli non avendo, allora, la macchina per la pasta per schiacciarlo bene,
operazione che l’ Armentina chiama “granula”. Ottenuto un impasto omogeneo e
liscio, lo si lasciava lievitare per altre 2-3 ore. Poi venivano formate le
pagnotte che andavano infornate in un
forno ben caldo.
La cosa importante era mettere
sempre da parte una palla di “pasta madre” tolta da questo impasto crudo appena
fatto. Senza frigo, questa pasta madre durava tutta la settimana e il pane
appena sfornato acquisiva quel sapore
che lo rendeva fragrante, appetitoso, odoroso,
squisito e che è rimasto indelebile nella memoria di tutti quelli che l’hanno
assaggiato.
ACETO
Anche l’aceto ha la sua “madre” per poterlo moltiplicare e averlo così sempre
a disposizione.
Ogni casa contadina aveva la sua cantina,
l’antro della penombra, delle ragnatele, del mistero. Quando si accedeva a
questa stanza buia, ubicata quasi sempre sotto il livello delle case, si
veniva assaliti da una ventata di
frescura e le narici si riempivano immediatamente di mille odori: da quello acre delle esalazioni dell’aceto o del vino a quello
dolce dei vari salumi appesi che aspettavano
di essere consumati. Una goduria per l’odorato!
L’aceto era un alimento indispensabile per la
conservazione degli ortaggi e, per
produrlo, occorreva creare la “madre”. Come si faceva? Semplicemente lasciando
una bottiglia di vino casalingo aperta. Dopo qualche mese questo vino aveva
prodotto, in fondo alla bottiglia, una sostanza compatta e gelatinosa che
andava lavata. Questa era la madre.
Per riprodurre l’aceto, bastava aggiungere un poco di questa madre nella damigiana dove
si era messo il vino che sarebbe diventato aceto e, dopo mesi, era pronto per
essere consumato. Parlo di damigiana perché in campagna si faceva e si fa un
grande uso di aceto poiché viene utilizzato non solo, come detto, per mettere
in barattolo tante verdure, ma anche, all’epoca, come prodotto per le pulizie
casalinghe, o come semplice
disinfettante per le ferite. L’aceto, alimento non costoso, fungeva da alcool
dei poveri che ogni famiglia aveva a disposizione in abbondanza. I bambini,
liberi di correre e di saltare, finivano sempre per procurarsi qualche ferita.
E allora, quando si facevano male, su questa ferita, in assenza di alcool,
veniva versato semplicemente dell’aceto… che bruciava da morire ma che funzionava.
Così si faceva in altri tempi!
©Barbara Bertolini
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