sabato 27 aprile 2013

71. L'inquinamento domestico negli anni '50

La parola "inquinamento" fino alla metà del secolo scorso non aveva ancora fatto la sua apparizione poiché nelle case contadine di rifiuti domestici ne rimanevano ben pochi. Questo per due ragioni: la prima perché si comperava lo stretto indispensabile e, la seconda, perché gli animali da cortile spazzavano via, con voracità, il cibo che avanzava.
Anche l’abbigliamento, veniva ancora cucito a mano e, spesso, come raccontato in questo blog (post 2), realizzato dalle massaie dalla A alle Z, ovvero dalla produzione e realizzazione della stoffa stessa, alla sua finale trasformazione con questi passaggi:
per la canapa: semina della canapa; raccolta e lavorazione della pianta; realizzazione della filatura (con telaio); cucitura degli indumenti ma anche di lenzuola, tovaglie, strofinacci.
per la lana: allevamento degli ovini, tosatura della pecora, filatura della sua lana con i fusi e la rocca, lavorazione al telaio o a mano dei fili di lana così ottenuti, realizzazione finale dell’indumento (cappotto, pantalone, calzini, ecc…).
La mancanza di soldi e la dura fatica per realizzare questi indumenti facevano sì che nel proprio guardaroba se ne avessero ben pochi: altra fonte d’ inquinamento evitata.
Per la mobilia, altrettanto rari erano i negozi. Spesso i mobili venivano realizzati dal falegname del paese o da un bravo artigiano ebanista  della zona, che portava alto il suo “mestiere”. Il legno utilizzato (non esistevano ancora i materiali di plastica) era quello del luogo, raramente veniva da fuori. Solo gli ebanisti delle grandi città usavano legni pregiati che si facevano venire da lontano. Le case contadine del tempo erano “zen”, ovvero non ingombrate da eccessivi mobili, ninnoli, quadri: solo l’essenziale. Nella sala, per esempio, troneggiava un grande tavolo (le famiglie erano numerose) e una bella credenza completava il suo arredamento. La camera da letto era, forse, la più completa poiché non mancavano, oltre al letto ben inteso, i comodini e l’armadio. La cucina, invece, dopo il tavolo, aveva l’immancabile stufa e una madia per impastare il pane come quella della foto, mentre il lavandino, dove veniva poggiato il secchio pieno d’acqua, che si era andato a riempire alla fonte, era realizzato in pietra. Il bagno non esisteva (prego accomodatevi fuori…) e, chi l’aveva, era veramente essenziale, ovvero solo la tazza.
Inquinamento “cibo”: qui eravamo a quota zero perché tutto, ma veramente tutto,  veniva inghiottito dagli animali domestici.  Qualsiasi avanzo, infatti, veniva mangiato da maialini, galline, anatre, oche o  conigli che ogni famiglia possedeva per la propria sussistenza alimentare.  E i numerosi escrementi di tutti questi animali dove finivano? Ben inteso nel letamaio che produceva il prezioso concime utilizzato nei campi e negli orti e, tutto, quindi, ritornava alla natura.
Per far capire  il non inquinamento delle discariche di allora, voglio raccontare di come, i pomeriggi d’estate, quando tutti erano a dormire e noi bambini non si aveva il diritto di fare nessun rumore per non disturbare questo sonno prezioso,  sola sola, senza che mia mamma o mia nonna se ne accorgessero,  andavo a frugare nella discarica del paese. Questa, che non aveva nulla di quelle di adesso, poiché non vi venivano gettati alimenti ma solo oggetti di vasellame rotto, bambole senza gambe o braccia con la testa di ceramica, cinture di cuoio spezzate, vecchi attrezzi agricoli di ferro ecc.. . si trovava in un dirupo scosceso e ombreggiato,  alle spalle delle ultime case. Un luogo che, ai miei occhi di bambina, aveva il fascino della scoperta di tesori nascosti.  Viceversa, le puzzolenti ed infette discariche del giorno d’oggi non avrebbero potuto permettere una tale visita, ma nemmeno di  potervisi  avvicinare.
E’ chiaro che è la società consumistica che ha fatto esplodere  l’inquinamento. Dall’inizio degli anni ’70, con la ricchezza è arrivato il piacere del possesso e, ognuno di noi ha poco a poco riempito la casa di ogni ben di Dio, creando montagne di rifiuti.
Per il bene della terra è ora d’invertire la rotta. Lo stanno capendo ormai in tanti, come quelli che, con scrupolo (ed encomio), fanno la raccolta differenziata o cercano di comperare senza sprechi.  Io spero che questo cominci a capirlo anche l’industria che ci deve dare prodotti  con imballaggi non eccessivi,  perché tutto quello che non è utilizzato finisce in discarica e diventa un costo enorme per i cittadini.
Barbara Bertolini

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