Anche l’abbigliamento, veniva ancora cucito a mano e, spesso, come raccontato in questo blog (post 2),
realizzato dalle massaie dalla A alle Z, ovvero dalla produzione e
realizzazione della stoffa stessa, alla sua finale trasformazione con questi
passaggi:
per la canapa: semina
della canapa; raccolta e lavorazione della pianta; realizzazione della filatura
(con telaio); cucitura degli indumenti ma anche di lenzuola, tovaglie,
strofinacci.
per la lana:
allevamento degli ovini, tosatura della pecora, filatura della sua lana con i
fusi e la rocca, lavorazione al telaio o a mano dei fili di lana così ottenuti,
realizzazione finale dell’indumento (cappotto, pantalone, calzini, ecc…).
La mancanza di soldi e la dura fatica per realizzare questi indumenti
facevano sì che nel proprio guardaroba se ne avessero ben pochi: altra fonte d’
inquinamento evitata.
Per la mobilia, altrettanto
rari erano i negozi. Spesso i mobili venivano realizzati dal falegname del
paese o da un bravo artigiano ebanista
della zona, che portava alto il suo “mestiere”. Il legno utilizzato (non
esistevano ancora i materiali di plastica) era quello del luogo, raramente
veniva da fuori. Solo gli ebanisti delle grandi città usavano legni pregiati
che si facevano venire da lontano. Le case contadine del tempo erano “zen”,
ovvero non ingombrate da eccessivi mobili, ninnoli, quadri: solo l’essenziale.
Nella sala, per esempio, troneggiava un grande tavolo (le famiglie erano
numerose) e una bella credenza completava il suo arredamento. La camera da letto
era, forse, la più completa poiché non mancavano, oltre al letto ben inteso, i
comodini e l’armadio. La cucina, invece, dopo il tavolo, aveva l’immancabile
stufa e una madia per impastare il pane come quella della foto, mentre il lavandino, dove veniva
poggiato il secchio pieno d’acqua, che si era andato a riempire alla fonte, era
realizzato in pietra. Il bagno non esisteva (prego accomodatevi fuori…) e, chi
l’aveva, era veramente essenziale, ovvero solo la tazza.
Inquinamento “cibo”: qui eravamo a quota zero perché tutto, ma veramente tutto, veniva inghiottito dagli animali
domestici. Qualsiasi avanzo, infatti,
veniva mangiato da maialini, galline, anatre, oche o conigli che ogni famiglia possedeva per la
propria sussistenza alimentare. E i
numerosi escrementi di tutti questi animali dove finivano? Ben inteso nel letamaio che produceva il prezioso concime utilizzato nei campi e negli orti e,
tutto, quindi, ritornava alla natura.
Per far capire il non inquinamento
delle discariche di allora, voglio raccontare di come, i pomeriggi d’estate,
quando tutti erano a dormire e noi bambini non si aveva il diritto di fare
nessun rumore per non disturbare questo sonno prezioso, sola sola, senza che mia mamma o mia nonna se
ne accorgessero, andavo a frugare nella
discarica del paese. Questa, che non aveva nulla di quelle di adesso, poiché
non vi venivano gettati alimenti ma solo oggetti di vasellame rotto, bambole
senza gambe o braccia con la testa di ceramica, cinture di cuoio spezzate,
vecchi attrezzi agricoli di ferro ecc.. . si trovava in un dirupo scosceso e
ombreggiato, alle spalle delle ultime
case. Un luogo che, ai miei occhi di bambina, aveva il fascino della scoperta
di tesori nascosti. Viceversa, le
puzzolenti ed infette discariche del giorno d’oggi non avrebbero potuto
permettere una tale visita, ma nemmeno di
potervisi avvicinare.
E’ chiaro che è la società consumistica che ha fatto esplodere l’inquinamento. Dall’inizio degli anni ’70,
con la ricchezza è arrivato il piacere del possesso e, ognuno di noi ha poco a
poco riempito la casa di ogni ben di Dio, creando montagne di rifiuti.
Per il bene della terra è ora d’invertire la rotta. Lo stanno capendo ormai in tanti, come quelli che, con scrupolo (ed encomio), fanno la raccolta
differenziata o cercano di comperare senza sprechi. Io spero che questo cominci a capirlo anche
l’industria che ci deve dare prodotti
con imballaggi non eccessivi,
perché tutto quello che non è utilizzato finisce in discarica e diventa
un costo enorme per i cittadini.
Barbara Bertolini
Barbara Bertolini
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