Questa storia è vera e si svolge all’inizio
degli anni ’30 in un pesino dell’Appennino emiliano. Racconta di una pastorella
astuta che non voleva proprio andare a pascolare le pecore.
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Emergo con fatica da un sonno profondo. Sento, ovattata,
la voce di mia madre che cerca di svegliarmi scuotendomi leggermente, ma il suo
movimento mi culla e mi fa sprofondare di nuovo nel sonno. Allora, mi prende in
braccio e mi porta in cucina, io piagnucolo come ogni mattina. Per acquietarmi
mi dice: «Dai Tina, ti ho preparato un bel bicchiere di latte che
ho appena munto per te». Sa, infatti, che è il solo modo per farmi accettare
questa levataccia in un ambiente così freddo che richiede una forza di volontà
disumana per uscire dalle calde lenzuola. «Le tue amiche sono già pronte, ti
aspettano», aggiunge. Continuo a frignare, ma so che non ho altra
scelta, è l’alba ed io devo andare fuori
e raggiungere le mie dolci, tenere, deliziose pecorelle, che in effetti
sono le mie carnefici.