martedì 5 gennaio 2010

29. Cosa portava la Befana ai bambini buoni?

Fino agli anni ’60 nelle famiglie italiane in maggioranza era la befana a portare, nella notte dell’Epifania i doni ai bambini. Babbo Natale apparteneva, allora, alle culture del Nord Europa.
La tradizione italiana, infatti, voleva che i bimbi mettessero sotto il camino una grande calza per permettere alla Befana di riempirla di doni.

Il ceto sociale faceva la differenza tra i doni ricevuti nelle case dei contadini, o di chi aveva un reddito saltuario, rispetto ai “signori”, come si diceva allora.
Rita e Angela ci hanno raccontato i loro ricchi doni ricevuti sotto il camino: bambole, trenini, e vari giochi erano decisamente il sogno degli altri bambini meno fortunati, che rimaneva, tuttavia, davvero un sogno irraggiungibile, quindi rimosso: il bambino povero non osava nemmeno desiderarli. Nella loro calza, invece, quando si svegliavano al mattino e correvano nella stanza dove troneggiava il camino (o la stufa per chi non aveva il camino) e la trovavano gonfia e traboccante di roba, era davvero una grande festa per questi ragazzini che esplodevano di felicità.

Cosa c’era nella calza? Ho chiesto a molti di ricordare. Ed ecco il risultato:

Dal Nord o al Sud il contenuto cambiava poco. Venivano messi mandarini, portugal (che poi erano arance così chiamate sia in Emilia che a Napoli), noci, caramelle, qualche dieci lire, uno o due pacchettini di “mignin” (biscottini industriali fatti a strati che si vendono ancora al giorno d'oggi con il nome di wafer), arachidi, fichi secchi, qualche cioccolatino. Per i più poveri la calza veniva riempita con delle mele. Giochi, molto raramente, a meno di avere uno zio che ritornava dall’America. Qualche volta potevano esserci delle matite colorate, le famose “Giotto”.
Ma quello che non mancava mai sul fondo della calza, per tutti i bambini, poveri e ricchi, che durante l’anno qualche marachella l’avevano di certo commessa, era un bel pezzo di carbone, quello vero ben inteso!
Questa era la nostra Befana, che ci dava comunque una contentezza infinita. Tutta la notte avevamo cercato di stare svegli per sorprendere la vecchietta, invano. Anch’io, come Rita, mi sono fatta mettere il letto vicino al camino, ma la befana è stata più furba di me.

A casa di mia nonna, invece, c’era una tradizione molto bella per noi bambini. Essa realizzava un tortellone dolce, lungo come il tavolo della sala, farcito di noci, cacao, miele e altri ingredienti che non ricordo. Questo tortello particolare veniva cotto dal fornaio del paese, l’unico che aveva un forno adatto per cuocere una alimento così lungo.
Una volta messo in tavola ci dovevamo mettere in fila (dal più piccolo al più grande), ci venivano bendati gli occhi e ci veniva dato un coltello con cui dovevamo tagliare il tortello: mangiavamo il pezzo che eravamo riusciti a tagliare!
Che allegria, che divertimento!
Comunque, ora, meno male che l’Epifania tutte le feste le porta via!

Barbara

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