Come si passavano, senza luce, le lunghe notti fredde e nebbiose nei paesini emiliani
di Barbara Bertolini
Tra i ricordi più gioiosi della mia infanzia vi sono le serate che trascorrevo nelle stalle insieme a tutto il vicinato: un mezzo, questo, per passare una sera al caldo e senza annoiarsi. Infatti, nel mio paesino medievale, non c’era energia elettrica e non poteva, quindi, esserci il riscaldamento.
Da novembre, quando la luce spariva sotto una fitta coltre di nebbia e la notte si faceva buia come la pece, davanti al camino, illuminati da una fioca luce proveniente da una lucerna, c’era ben poco da fare. E gli emiliani, gente allegra e socievole, avevano trovato un mezzo originale per trascorrere qualche ora in compagnia. Ci si riuniva nella stalla più grande della contrada. Ognuno portava la propria sedia e la propria lucerna. Gli uomini giocavano a carte, le donne chiacchieravano filando la lana, i giovani, sotto l’occhio vigile dei genitori, approfittavano di questa promiscuità per passare messaggi d’amore. Ma chi si divertiva di più eravamo noi bambini che, liberi come fringuelli saltavamo a perdifiato sul fieno, oppure ci rincorrevamo o giocavamo con le ombre prodotte dai lumi e, quando eravamo infine strafatti dalla stanchezza, ascoltavamo le favole che ci venivano narrate da una "zitella" che conosceva l’arte del racconto e ci faceva rimanere a bocca aperta parlandoci di orchi, lupi, streghe e castelli fatati.
Tra i ricordi più gioiosi della mia infanzia vi sono le serate che trascorrevo nelle stalle insieme a tutto il vicinato: un mezzo, questo, per passare una sera al caldo e senza annoiarsi. Infatti, nel mio paesino medievale, non c’era energia elettrica e non poteva, quindi, esserci il riscaldamento.
Da novembre, quando la luce spariva sotto una fitta coltre di nebbia e la notte si faceva buia come la pece, davanti al camino, illuminati da una fioca luce proveniente da una lucerna, c’era ben poco da fare. E gli emiliani, gente allegra e socievole, avevano trovato un mezzo originale per trascorrere qualche ora in compagnia. Ci si riuniva nella stalla più grande della contrada. Ognuno portava la propria sedia e la propria lucerna. Gli uomini giocavano a carte, le donne chiacchieravano filando la lana, i giovani, sotto l’occhio vigile dei genitori, approfittavano di questa promiscuità per passare messaggi d’amore. Ma chi si divertiva di più eravamo noi bambini che, liberi come fringuelli saltavamo a perdifiato sul fieno, oppure ci rincorrevamo o giocavamo con le ombre prodotte dai lumi e, quando eravamo infine strafatti dalla stanchezza, ascoltavamo le favole che ci venivano narrate da una "zitella" che conosceva l’arte del racconto e ci faceva rimanere a bocca aperta parlandoci di orchi, lupi, streghe e castelli fatati.
Le mucche, felici di questa compagnia, con il loro fiato, riuscivano a riscaldare l’ambiente meglio di un calorifero. Il forte odore che proveniva da tutta questa umanità non disturbava più di tanto le narici dei presenti, avvezzi a ben altri effluvi.
Poi, a una certa ora, che non ricordo quale, qualcuno dava un segnale e, in pochi minuti, sparivamo tutti nelle nostre case, lasciando infine i ruminanti alla loro intimità. E noi bambini, ebbri di felicità, affrontavamo il gelo delle camere da letto e sprofondavamo immediatamente in un sonno ristoratore.
Nei ricordi di mia madre, 85enne, invece, la stalla, la sera, diventava un luogo di lavoro. Tutte le donne giovani e anziane, si mettevano con la rocca a filare la lana o la canapa. Dovevano aver fatto almeno due fusi a sera per poter andare a dormire. Ella dice che se un forestiero fosse capitato in una stalla all’ora di questi incontri, avrebbe pensato trovarsi in una fabbrica per il gran numero di donne concentrate nella filatura.
Poi, a una certa ora, che non ricordo quale, qualcuno dava un segnale e, in pochi minuti, sparivamo tutti nelle nostre case, lasciando infine i ruminanti alla loro intimità. E noi bambini, ebbri di felicità, affrontavamo il gelo delle camere da letto e sprofondavamo immediatamente in un sonno ristoratore.
Nei ricordi di mia madre, 85enne, invece, la stalla, la sera, diventava un luogo di lavoro. Tutte le donne giovani e anziane, si mettevano con la rocca a filare la lana o la canapa. Dovevano aver fatto almeno due fusi a sera per poter andare a dormire. Ella dice che se un forestiero fosse capitato in una stalla all’ora di questi incontri, avrebbe pensato trovarsi in una fabbrica per il gran numero di donne concentrate nella filatura.
Per avere tuttavia un’idea di quest’ambiente, basta guardare il film “L’albero degli zoccoli” di Ermanno Olmi, anche se io ho nella mente atmosfere meno cupe di quelle della pellicola olmiana.
2 commenti:
Questo racconto sembra surreale. Ma davvero ci si riuniva in un posto così?????
Sì, sì, garantisco, vi ho passato dei momenti bellissimi. Non sentivo la puzza delle mucche, quella del sudore degli esseri umani che, ti assicuro, sentito al giorno d'oggi sarebbe insopportabile. Era solo l'odore di fieno quello che riempiva le mie narici e poi i giochi che facevamo fino a quando crollavamo per la stanchezza. Magnifico.
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