di Lucia D’Alessandro
Una mattina incontro la mia amica Licia che non vedevo da parecchio tempo, mi chiede cosa faccio, come me la passo e intanto gli starnuti non mi danno il tempo di chiacchierare e di spiegare tutto quello che avrei voluto dirle; lei mi chiede se l'allergia è quella dei tempi passati e che ancora mi logora in questo periodo. Ebbene si, è sempre la stessa allergia alle graminacee, quella che ho beccato a Montorio nei Frentani tanti anni fa.
E la mia memoria va a quando, fresca di titolo di studio, sono stata inviata in quel paese vicino a Larino come “Istruttrice rurale". Il mio compito era quello di assistenza alle mogli e alle figlie dei contadini, sia a livello teorico che pratico per la campagna e la casa, ma soprattutto di dare un aiuto psicologico (parlo degli anni ‘60).
Vivevo a Campobasso e i collegamenti con Montorio erano pochi e difficoltosi: tante curve e strade bloccate per la neve d’inverno. Scelsi allora di non viaggiare e di prendere una camera in affitto in casa di nonna Marietta, una vecchietta che mi aveva preso in simpatia e mi colmava di attenzioni compatibilmente con le sue disponibilità. La mia stanza si trovava proprio sopra alla stalla della contadina e, per materasso, avevo quello imbottito di “fruscie di granone”, cioè la parte esterna del mais. Una tortura perché quando mi giravo nel letto, le foglie, strofinandosi, facevano molto rumore e mi svegliavano. Al mattino, per rifare il letto dovevo inserire le mani tra queste foglie, schiacciate dal mio corpo, per ridarle voluminosità.
Quasi tutti i contadini possedevano questo genere di materasso perché era molto più economico di quello di lana. Le pecore le allevavano, ma la preziosa lana che ne ricavavano serviva loro per realizzare vestiti e coperte e, quella che avanzava, la vendevano per poter racimolare qualche lira da destinare alle necessità più importanti. E io, intanto, ogni primavera, ricordo sempre il materasso di nonna Marietta!
Una mattina incontro la mia amica Licia che non vedevo da parecchio tempo, mi chiede cosa faccio, come me la passo e intanto gli starnuti non mi danno il tempo di chiacchierare e di spiegare tutto quello che avrei voluto dirle; lei mi chiede se l'allergia è quella dei tempi passati e che ancora mi logora in questo periodo. Ebbene si, è sempre la stessa allergia alle graminacee, quella che ho beccato a Montorio nei Frentani tanti anni fa.
E la mia memoria va a quando, fresca di titolo di studio, sono stata inviata in quel paese vicino a Larino come “Istruttrice rurale". Il mio compito era quello di assistenza alle mogli e alle figlie dei contadini, sia a livello teorico che pratico per la campagna e la casa, ma soprattutto di dare un aiuto psicologico (parlo degli anni ‘60).
Vivevo a Campobasso e i collegamenti con Montorio erano pochi e difficoltosi: tante curve e strade bloccate per la neve d’inverno. Scelsi allora di non viaggiare e di prendere una camera in affitto in casa di nonna Marietta, una vecchietta che mi aveva preso in simpatia e mi colmava di attenzioni compatibilmente con le sue disponibilità. La mia stanza si trovava proprio sopra alla stalla della contadina e, per materasso, avevo quello imbottito di “fruscie di granone”, cioè la parte esterna del mais. Una tortura perché quando mi giravo nel letto, le foglie, strofinandosi, facevano molto rumore e mi svegliavano. Al mattino, per rifare il letto dovevo inserire le mani tra queste foglie, schiacciate dal mio corpo, per ridarle voluminosità.
Quasi tutti i contadini possedevano questo genere di materasso perché era molto più economico di quello di lana. Le pecore le allevavano, ma la preziosa lana che ne ricavavano serviva loro per realizzare vestiti e coperte e, quella che avanzava, la vendevano per poter racimolare qualche lira da destinare alle necessità più importanti. E io, intanto, ogni primavera, ricordo sempre il materasso di nonna Marietta!
2 commenti:
Anch’io ho dormito su di un materasso di foglie di granone e mi ricordo un particolare: zio Peppino metteva le mani in mezzo ai materassi non per ridarne la forma originaria, ma per scegliere le foglie secche più piccole. Gli servivano per realizzare la sua sigaretta! Infatti, riempiva la cartina con queste foglie, la arrotolava tra le dita e, quindi si passava l’ultimo bordo della cartina tra le labbra per inumidirla e poter chiudere la sigaretta. A quel punto era pronta per essere fumata!
Drisolina Stefani
il mio abbbo una volta raccontava di aver fumato una poltrona imbottita!
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