Di Barbara Bertolini
Giorni natalizi, giorni di feste e… di dolci. Nella tradizione culinaria italiana, di piatti dai sapori zuccherini, senza conservanti né coloranti, ce ne sono tanti, ma quello che vi voglio raccontare ora è la storia di un alimento che in tante case povere ha sostituito per anni lo zucchero, considerato allora troppo caro.
La mia mente corre agli anni ’50. Non c’è nessuno in casa. Entro con timore nella camera da letto dei miei nonni. In fondo alla stanza c’è una tenda che nasconde una nicchia. Scosto la tenda e inzuppo le dita in un grosso pentolone che vi è deposto, dove giace un invitante e gustoso intingolo denso e marrone. So che non posso mangiarne troppo perché il “savurett” servirà per preparare i dolci di tutto l’anno e, se mi becca la nonna, sono guai, ma sono troppo golosa e non resisto: sclaft, sclaft, hummm che bontà!
Questo è l’unico dolce della casa ad eccezione, ben inteso, della marmellata. Ma è soprattutto il solo che posso mangiare senza che nessuno se ne accorga.
Ho scoperto poi che intere generazioni di bambini, nati in campagna prima del 1950, si leccavano avidamente le dita come me dopo averle intinte nel savurett!
A cosa serve e come è fatto il “savurett”?
Come al solito è la signora Armentina a dare le spiegazioni:
Nei tempi passati, durante e dopo la guerra, il problema economico era tale che perfino lo zucchero era troppo costoso per le tasche dei contadini. Si cercavano quindi soluzioni alternative per sostituirlo. Una di queste era appunto il “savurett”. Non ne conosco il nome italiano, chiedo lumi all’amica Rita, esperta linguista, forse lei sa trovare questa parola emiliana che deriva da “sapore”.
Dunque, durante l’autunno si raccoglievano in grande quantità le pere (verdi con sfumature di marrone – l’Armentina le chiama “pere valle”) che cadevano in abbondanza.
Si lavavano, poi, così com’erano (con il torsolo e la buccia), le si passavano dentro una specie di tritatutto. Il composto così ottenuto lo si lasciava scolare. Quando il sugo si era completamente deposto lo si doveva far bollire in un paiolo per 24 ore (alla fine ne restava solo un quarto) e il savurett era pronto.
Infatti il sugo rimasto era dolciastro e poteva quindi essere utilizzato per zuccherare le torte o altri cibi. Poiché era un alimento che non costava nulla (allora la legna si trovava nei boschi e di frutta ce n’era a volontà), i più poveri, in mancanza di qualsiasi altro alimento, lo utilizzavano per insaporire la polenta. Questo composto si manteneva inalterato per qualche anno.
Al giorno d’oggi lo si chiamerebbe “fruttosio”. O sbaglio?
(la foto di queto post è stata presa da http://www.giallozafferano.it/)
7 commenti:
Cara Barbara, grazie per aver attirato la mia attenzione di "linguista", ma hai già scritto tutto tu, sul vocabolo "savurat", che potremmo tradurre alla lettera con "saporito, saporoso, zuccheroso". Ciao, Rita
interessante non lo conoscevo
Cara Barbara Bertolini, ho per caso letto questo tuo vecchio articolo molto interessante. Incuriosito ho cercato il termine savurat ma risultavano solo risultati in rumeno, allora ho cercato savuret e credo che questa sia la denominazione giusta, ma con due t finali quindi savurett.
Anche io ho un blog dove scrivo articoli e ricostruzioni storiche sul pattinaggio d'altri tempi, se vuoi dargli uno sguardo ti linko gli aticoli che ti potrebbero piacere: http://www.rollerquad.it/category/storia/
Ciao
Giovanni Simiani
http://www.rollerquad.it
Caro Gianni, grazie per il tuo intervento. I miei ricordi sono "orali", nel senso che il dialetto, come sai, lo si pronuncia e basta e a San Giovanni pronunciavo "savurat"e, quando l'ho scritto non c'era ancora molto su internet in materia. Non mi resta che correggere questo termine con "savurett". Granzie ancora per la tua segnalazione. Certo che mi vado a vedere, ora il tuo sito...
Mi sono dimenticata di firmami: Barbara Bertolini
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