Gli eccessi degli studenti alle
gite scolastiche di oggi mi riportano a quelle del passato, all’entusiasmo che
provavamo per la prima vera uscita di tutta la classe. Un premio che veniva concesso in genere ai
bambini arrivati all’ultimo anno obbligatorio: la quinta elementare.
Le mete erano di una sola
giornata: nessuna aveva soldi da spendere in alberghi o ostelli della gioventù
che in Italia erano ancora rari. Per cui, l’itinerario era previsto a piedi
oppure in pullman se la destinazione era
più lontana. La scampagnata nei dintorni del paese oppure la gita vera e
propria era, per noi, motivo di grandissima felicità. Ci si preparava almeno un
mese prima a questo avvenimento e, arrivato il giorno, con la nostra colazione
al sacco, ci avviavamo festosi per assaporare un momento di puro piacere.
Trascrivo qui di seguito il
racconto del molisano Donato Del Galdo*, nato nel 1917 e che ci racconta la sua
“passeggiata scolastica” avvenuta nei dintorni del paese, facendoci rivivere la
semplicità e l’allegria di quelle gite di quasi cent’anni fa, ma anche lo scopo
didattico che non mancava mai. Segue il racconto della mia gita scolastica
avvenuta a Ginevra nel 1960. A distanza di quasi trent’anni, tutte e due, però,
descrivono un modo molto più ingenuo e morigerato di vivere la gita scolastica,
ma anche molto più gioioso di adesso perché spesso era l’unica gita fuori casa
che si faceva da ragazzini.
LA
PASSEGGIATA SCOLASTICA
Camminammo per circa mezz’ora
allontanandoci verso l’aperta campagna. Avevamo anticipato l’entrata in scuola
per camminare con il fresco del mattino. E le diverse classi degli alunni,
andando verso l’alzarsi del sole giunsero in un grosso campo arieggiato e
disteso. La sua conformazione non presentava asperità, era in grado di
accogliere tutti noi insieme e ci
consentiva di attendere liberamente ai giochi che avremmo dovuto fare.
Noi, i ragazzi maschi, eravamo
contenti, non era così per gli insegnanti. Loro dovevano ugualmente stare bene
attenti per tenerci uniti e ristretti, pronti ad intervenire qualora ce ne
fosse stato bisogno.
Gli alunni maschi facevano
risaltare la loro bravura a correre e saltare alla cavallina, mentre le ragazze
si dovevano adattare in altri giochi di loro gradimento. Si giocò all’olfatto
fino: riconoscere il nome del fiore, uno per volta mediante il loro profumo ad
occhi bendati.
Le maestre avevano portato dal
paese alcune varietà di fiori, altre qualità della stagione in corso si
raccolsero in campagna come per esempio l’acacia o il giaggiolo. A turno i ragazzi vennero bendati,
dopo di che o la maestra o il capo-classe avvicinava al naso del ragazzo
bendato un solo fiore e chiedeva di indovinare cos’era, mentre gli altri
ragazzi disposti in cerchio, maschi e femmine, si davano le mani e giravano e cantavano.
Se il ragazzo bendato aveva indovinato
dicevano: «sì, sì tu hai indovinato, hai l’olfatto molto fino». Altrimenti,
alla risposta sbagliata dell’alunno cantavano: «no, no, tu hai sbagliato e
rimani ancora bendato».
In questo gioco dell’olfatto fino
le migliori erano le alunne, più sensibili al richiamo del profumo dei fiori.
Si tornava dalla passeggiata scolastica nel pomeriggio, tutti un po’ stanchi. Per evitare il caldo più forte, un po’ di colazione era stata necessaria consumarla, ognuno di noi per proprio conto, e avevamo bevuto l’acqua fresca attinta alla fontanella nota a qualcuno della nostra comitiva spensierata. Donato Del Galdo *Poema di sacrificio, racconti. Edizione Enne 1986 Campobasso
Si tornava dalla passeggiata scolastica nel pomeriggio, tutti un po’ stanchi. Per evitare il caldo più forte, un po’ di colazione era stata necessaria consumarla, ognuno di noi per proprio conto, e avevamo bevuto l’acqua fresca attinta alla fontanella nota a qualcuno della nostra comitiva spensierata. Donato Del Galdo *Poema di sacrificio, racconti. Edizione Enne 1986 Campobasso
In
Svizzera la gita scolastica era programmata dall’inizio dell’anno
L’anno era stato durissimo per me
che non conoscevo ancora il francese, la lingua del nuovo paese dove ero andata
a vivere. Ma ogni alunno alla fine dell’anno, che avesse lavorato bene o male a
scuola, aveva diritto a godersi la sua gita scolastica. Una gita che era stata programmata fin
dall’inizio dell’anno scolastico perché ogni alunno aveva avuto il compito di
raccogliere, a casa e nel vicinato, la carta che veniva poi venduta a maggio,
il cui ricavato consentiva di pagare l’escursione anche a chi aveva difficoltà economiche e i cui genitori non avrebbero potuto sborsare nemmeno un
misero franco.
La gita era di una sola giornata
e ci dovemmo alzare all’alba. Con l’autobus arrivammo alla stazione Cornavin di
Ginevra, poi tragitto in treno fino a una destinazione che non ricordo. Dovemmo
poi affrontare a piedi la salita di una montagna attraverso un sentiero
ombreggiato. I nostri passi erano scanditi dal ritmo di una canzone che
cantavamo a squarciagola, stupiti che si potesse fare tutto il chiasso
possibile: “Un kilomètre à pied ça use ça
use, un km à pied, ça use les souliers!” Dopo all’incirca una decina di
chilometri, arrivammo in una radura dove ci fermammo per la colazione.
C’erano
le mucche al pascolo in un prato pieno di margherite e scorgemmo animali
selvatici. Una meraviglia. Il nostro maestro accese un fuoco e tirò fuori dal
suo zaino tanti salsicciotti, che ancora non conoscevo, ma che erano i famosi wűrstel.
Ne distribuì tre a testa, li infilzammo nei bastoncini che trovammo nel
sottobosco e li facemmo cuocere sul fuoco improvvisato, avendo poi ben cura di
spegnerlo e di raccogliere le ceneri. Wurstel così buoni non ne ho mai più
mangiati! La giornata continuò con giochi come “colin maillard” (mosca cieca),
“cache-cache” (nascondino), il famoso tiro con la fune, rubabandiera ecc… Una
giornata memorabile, la più bella di quell’anno scolastico, che, a ripensarci,
mi dà ancora una sensazione di benessere poiché non ci fu nulla di stonato. Il
ritorno, sempre in treno, fu all’insegna dell’allegria, delle canzoncine
irriverenti, degli scherzi e di tante belle risate… e il tutto, en français
s’il vous plaît!
Però, a mio avviso, la gita scolastica più bella è stata
raccontata da Pupi Avati nell'omonimo film, “LA GITA SCOLASTICA”, che ha portato sugli
schermi nel 1983 e che parla di una escursione svolta da giovani maturandi che attraversano a piedi, nel 1914, l’incantevole Appennino bolognese.
Se volete vedere il film, cliccate su “LA GITA SCOLASTICA”.
Buona visione
Barbara Bertolini
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