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Balli nell'aia (Serena Ranieri) |
di Barbara Bertolini
L’Emila Romagna è considerata per
eccellenza la patria della balera. Ed è
emiliana la novantenne signora Armentina Bonini, a cui mi rivolgo per attingere informazioni
sul passato poiché i suoi ricordi sono nitidi.
Lei le balere se le ricorda, eccome! Aveva 16
anni quando, nel lontano 1940, in
occasione di San Genesio, la festa patronale, si allestì nel suo paese una balera: quattro assi di
legno messi insieme con sopra un telone e, come strumento musicale, una
fisarmonica, ed hop: «Entrino signorine e signori, entrino!». Fu una serata
memorabile. Certo, le signorinelle erano accompagnate dalla mamma che si godeva
lo spettacolo e che avrebbe voluto anche lei ballare, ma che ormai
le rimaneva solo il ruolo di guardiano:
attenta ai baci rubati, alle mani leste, alle parole di troppo. Se
qualcosa insospettiva, la
mamma-guardiana richiamava subito la figlia.
E, dunque, i giovani dovevano stare molto accorti a non farsi sgamare nei
loro messaggi amorosi. Ma malgrado il controllo a vista, Armentina ricorda che si
divertì un mondo e ballò sulle note di… ♫
Fiorin fiorello l’amore è bello vicino a te, mi fa sognare, mi fa tremare
chissà perché… ♫ (cantata di Luciano Tajoli, cliccateci sopra per
sentirla anche voi).
Però, in quel periodo di magra,
bastava qualcuno che avesse un organetto
a bocca per improvvisare una balera nell’aia di casa. Se il suonatore non era
molto bravo e faceva storie, gli si diceva, come riferisce Armentina: « O cat
son o cat sunom (o che suoni o che ti
suoniamo)» e, il poveretto, non aveva scampo.
D’altronde la società contadina di quel tempo non aveva che il ballo e
il canto per divertirsi e far divertire i giovani. Comunque, l’occasione per ballare per i
ragazzi di allora era quasi esclusivamente durante le feste patronali che arrivavano per lo più
d’ estate, dopo che si era raccolto il grano. Ogni paese aveva la sua e bastava essere invitati dai vari parenti per
poter continuare a fare quattro salti e
divertirsi.
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Bronsescoverte |
Però l’Armentina era esigente con
i suoi cavalieri: o sapevano ballare bene o li scartava. Insomma, contrariamente
a quello che facevano molti uomini i quali
̶ come mi ha confessato mio
cugino Luigi ̶ ballavano perché era l’unica occasione che
avevano per potersi strusciare a qualche ragazza, le donne, invece, danzavano per il vero piacere del ballo!
ANNI ‘50
Venendo un po’ più avanti nel
tempo, arrivando agli anni ’50, è Ines
che mi lascia i suoi ricordi in merito. Cominciano a vedersi i primi spiragli
di emancipazione femminile, e lei, infatti, può andare con la sorella a ballare
nelle case di amici. Ricorda in particolare quando furono invitate in aperta
campagna, vicino a Casina. Dovettero farsi cinque km a piedi nella neve (coi tacchi).
Solo che, appena dato il via alle danze arrivarono i Carabinieri, chiamati da
qualche invidioso che non aveva avuto l’invito. Gli uomini, per non avere
rogne, saltarono tutti dalle finestre, ma le ragazze, con le loro gonne strette
non poterono. Fu così che chi si trovava nella sala dove si ballava fu
identificata e convocata il giorno
dopo in caserma. Alla ragazza non fu
molto difficile convincere i militi perché l’argomento che presentò per
discolparsi era più che razionale: «Come fate a pensare male di me se sono
sposata da appena un mese?», disse (anche il marito era saltato dalla finestra
come gli altri).
Durante i mesi estivi, dagli anni
’50 agli anni ’60, le balere continuarono a dominare le piazze dei paesini
emiliani e romagnoli in occasione
delle feste del Santo patrono, con i
famosi “calcinculo”, le giostre per i ragazzini. Si ballava anche nei matrimoni
e, in questa occasione, tutto il paese era invitato poiché si svolgeva
quasi sempre nell’aia di casa della sposa. I giovani, comunque, cominciavano ad
organizzarsi pure nelle case. Poiché in molti paesi non era ancora arrivata
l’energia elettrica, i pochi che avevano un grammofono a mano lo piazzavano in una stanza e via… si aprivano le danze: sempre
sotto l’occhio attento di mamme e nonne; non esageriamo con l’emancipazione!
Nei paesi dove il clero aveva
molto potere, capitava però, come a San Giovanni di Querciola, che il suo
parroco, don Reverberi (per non fare nomi),
trovando troppo peccaminoso il ballo, lo vietasse, senza che nessuno
potesse opporsi, rovinando così quasi tutte le feste.
DISCOTECHE
Nei primi anni ’60 apparirono le
prime discoteche. Già la parola “disco” dà la misura del cambiamento. Infatti, la televisione fa conoscere i nuovi cantanti,
grazie al “Festival di San Remo” che tiene incollata al piccolo schermo tutta
l’Italia. Queste canzoni si possono successivamente
ascoltare sui 45 giri, dischi più piccoli che si mettono in
giradischi portatili o sulle cassette che si inseriscono nel mangianastri, funzionanti
gli uni e gli altri quasi sempre a pile, anche se l’elettricità è arrivata
ormai dappertutto.
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Dance |
In quegli anni la balera è sempre
il fulcro della festa paesana, solo che l’orchestra diventa più completa. C’è
il o la cantante e, la fisarmonica, è sostituita da batteria, chitarra elettrica, clarinetto, sax,
ecc... Una vera rivoluzione portata dagli “urlatori” che hanno abbandonato la
canzone melodica. E i giovani si dimenano
con il twist, il cha cha cha, mentre il “ballo della mattonella” rimane per gli
innamorati. Insomma, dalla metà degli anni ‘60 arriva tutt’altra musica e
tutt’altro ballo.
Barbara Bertolini ©2015 Tutti i diritti riservati
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