di Barbara Bertolini
Nelle mie giornate infantili degli anni ’50 del secolo appena passato il clou della vita contadina era la mietitura che arrivava con il solleone. Le spighe di grano distese al sole erano pronte per essere raccolte e la mietitura avveniva al mattino prestissimo proprio per evitare la calura intensa dell’estate. Anche noi bambini venivamo svegliati alle tre del mattino per essere sui campi già alle quattro. Un giorno di fatica, ma anche di grande festa per tutti perché a mietere era richiesto il concorso di tutta la famiglia, ivi compresi i parenti.
Con una falcetta in mano, disposti uno accanto
all’altro, nell’alba nascente, accompagnati da un coro di voci che intonavano
canzoni del tempo, si tagliava i gambi e si facevano piccoli mazzi di spighe
che si avvolgevano a mo’ di bouquet e li si posava dietro di noi. Questi
mazzetti venivano poi raccolti e formavano i covoni. Ed erano questi covoni,
caricati sui carri trainati dalle mucche o dai buoi, che si trasportavano nelle
aie dove la trebbiatrice li avrebbe ingoiati per risputare poi, da una pate i
chicchi di grano e, dall’altra, le balle di paglia.
La raccolta del grano, bene prezioso per la famiglia
poiché era lui a permetterle non solo di nutrirla, ma anche di ottenere un
piccolo guadagno, veniva seguita dal capo famiglia con grande apprensione. Man
mano che i chicchi riempivano i sacchi di iuta, mio nonno, che si era procurato
un lungo bastone, faceva delle tacche che gli servivano per controllarne la
quantità. E i suoi occhi brillavano quando il raccolto era stato generoso
rispetto all’anno prima.
Nella società povera di allora, dopo la mietitura,
piccole mani ritornavano sui campi e, con un sacco di iuta in mano,
raccoglievano quelle spighe che erano sfuggite ai mietitori. Un lavoro che noi
bambini, insieme alle donne di famiglia, svolgevamo con gande piacere e
facevamo a gara a chi ne raccoglieva di più. Infatti, ognuno, quasi sempre, riusciva
a portare a casa altri due o tre chili di grano a testa. Nulla andava sprecato
e tutti erano utili alla società!
La cosa incredibile è che noi bimbi andavamo nei campi
di grano a piedi scalzi. Mi ricordo ancora il dolore che provai dopo aver messo
il piede su uno spuntone mal tagliato di grano. Non è che ci mancassero le
scarpe, anche se non si era certo ricchi, ma si preferiva andare scalzi per una
sensazione di libertà e la pelle dei nostri piedi aveva acquisito una tale
durezza che ci difendeva contro le asprezze del terreno.
Il ricordo più rilevante di chi ha vissuto quelle estati è senz’altro il giorno della trebbiatura. Un giorno molto particolare perché la mietitrebbia era impegnata solo per quella famiglia e, quindi, anche il vicinato partecipava a questa importante operazione e le donne erano intente a preparare il pranzo per tutti, che si consumava in allegria tra il rumore assordante di quel mezzo agricolo, il polverone sollevata dalle spighe e dalla paglia e il vociare concitato degli uomini ebbri di fatica e di buon vino che scorreva a fiumi.
Barbara Bertolini
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