Ai tempi miei la scuola ricominciava ad ottobre. I pargoli erano una forza lavoro non
indifferente per l’agricoltura e, in una
nazione in cui più del 60% dei suoi abitanti lavorava la terra, si tenevano in
gran considerazione i lavori dei campi che si concludevano, per i bambini, con
la raccolta dell’uva. Ecco perché non si
andava a scuola fino al primo di ottobre.
Il vigneto nella famiglia contadina ha occupato sempre un
posto di rilievo. Esso veniva seguito nell’arco di tutte le stagioni con i
lavori di potatura, legatura e piegatura dei tralci, zappatura del terreno, della cimatura e,
infine, della protezione dell’uva dai predatori naturali come gli uccelli.
Questo ultimo compito mi era stato assegnato da mio nonno a
“Camp ad Mazat” dove una bella e generosa vigna di Lambrusco, che si spandeva
sui filari stesi tra gli alberi di quel campo, attirava l’ingordigia dei vari
volatili . Non era servito a nulla mettere
uno spaventapasseri fatto con gli stracci di casa; l’unico antidoto a questi
animali famelici ̶ decretò mio nonno ̶ era
una persona in carne ed ossa che li facesse fuggire. Ecco perché ero stata
promossa, a 9 anni, “spaventapasseri ufficiale”.
In questa veste, sola soletta, in un grande campo situato in
una zona sperduta che confinava con un bosco rado di sterpi e ginepri mi spostavo su e già per il campo strillando a
squarcia gola appena vedevo un uccello avvicinarsi ai preziosi chicchi. Era un
mestiere, questo, che mi piaceva tantissimo, mi dava totale libertà e mi
faceva sentire utile poiché le mie grida tenevano lontane le bestie. Quando mi ero stancata, mi allungavo vicino a una
fresca sorgente, sbucata lì per caso, ma la cui acqua era di una limpidezza
invidiabile e lì lasciavo galoppare la mia fantasia popolata da castelli fatati
e animali parlanti.
LA VENDEMMIA
Prima di qualsiasi vendemmia era importante la cura con cui i
contadini dovevano lavare ed aggiustare i contenitori del vino dell’anno prima
come tini, botti e damigiane: operazione che veniva fatta nei giorni precedenti
la raccolta dell’uva.
A questo punto si poteva procedere alla vendemmia. In una
bella giornata di sole, che non mancava mai, tutta la famiglia arrivava sul carro
dei buoi con le scale, i cesti e le cesoie.
E via a raccogliere i preziosi chicchi scartando quelli che si erano
imputriditi. La vigna veniva ripulita di tutta l’uva: non ne rimaneva nemmeno
un piccolo grappolo. Questa operazione
veniva fatta in allegria e, per l’ora di
pranzo, grandi cesti erano già stati riempiti con cibo squisitissimo che
mangiavamo seduti nel prato: erano stati aggiunti anche due bei fiaschi di vino
dell’anno prima mentre, per la frutta, avevamo alberi di fichi, di mele, di
pere a portata di mano. Da bere, per i piccoli, c’era l’acqua sorgiva. Erano
giornate intense e faticose, ma nessuno di noi avvertiva la stanchezza,
scacciata dalle canzoni che intonavamo in coro insieme a belle risate.
LA PIGIATURA A
MANO DELL’UVA
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La pigiatura dell'uva |
Tuttavia, per noi bambini, il momento più bello della vendemmi arrivava
il giorno dopo, quando l’uva veniva posta in un lungo contenitore, una specie
di cassapanca di legno aperta in alto, per essere pigiata. La cassapanca veniva messa a circa un metro dal suolo e vi veniva fatto un buco che
permetteva al mosto di fuoruscire per essere raccolto con un secchio che veniva
poi versato in una vasca di fermentazione. Questo liquido, al massimo dopo una
settimana, veniva versato nella botte. Il tempo di questa fermentazione
dipendeva dal tipo di uva e dal luogo di produzione. L’uva non veniva mai
lavata perché questa operazione poteva bloccarne la fermentazione.
La cosa strabiliante per noi piccoli era che, cosa rarissima, i bei lavori, una volta tanto venivano assegnati a noi, ovvero erano i bambini
che dovevano entrare in questo contenitore e, con i loro piedini, pigiare i chicchi. Che gioco bellissimo
questa pigiatura! Sotto i nostri piedi sentivamo spaccarsi l’uva che schizzava
contro le pareti e sguazzavamo
all’infinito in un liquido odoroso, senza che nessuno ci sgridasse.
Dopo questa pigiatura, delle vinacce rimaste c’era una
successiva torchiatura il cui composto che fuoriusciva poteva essere trasformato in “grappa”, per gli
esperti o “acquaticcio”, un vinello che doveva essere bevuto, però, nei tre
giorni seguenti.
Dopo la prima fermentazione il contadino raccoglieva il
“vino fiore” che veniva versato nelle botti per diventare Lambrusco, Trebbiano,
Sangiovese… Il primo “vinello” era già pronto per San
Martino (11 novembre).
Dopo la vendemmia si mettevano da parte i più bei grappoli
di uva bianca dolce, che venivano appesi
alle travi della cantina per essere essiccati . I grappoli di uva passa erano poi
offerti per il cenone di fine d’anno come augurio di prosperità (chicchi =
soldi).
Non mancava anche un dolce fatto con il mosto a cui si
aggiungeva la farina, il “sugo d’uva”,
che assumeva un bel colore violetto e che si poteva mangiare solo nel
periodo della vendemmia. Qui sotto la ricetta di mia mamma :
RICETTA DEI SUGHI
D’UVA
Ingredienti: succo d’uva, farina, zucchero.
Per ogni bicchiere di succo d’uva raccolto dalla pigiatura
un cucchiaino raso di farina e un po’ di zucchero.
Il sugo va passato al colino perché sia perfettamente pulito
e non vi rimanga nulla della pigiatura.
A questo punto lo si
mette in un tegamino e lo si fa bollire avendo cura di togliere la schiuma che
si forma. Una volta pronto (5’ di
bollitura) lo si lascia raffreddare.
Quando diventa freddo lo si
amalgama ben bene con la farina e lo zucchero e lo si riporta ad
ebollizione mescolando continuamente fino a che diventi un composto denso e
cremoso. A quel punto è pronto. Lo si lascia di nuovo raffreddare e lo si può servire fresco di frigo.
Buona vendemmia! - Barbara Bertolini ©2017tutti i diritti riservati
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