lunedì 28 novembre 2016

96. La notte di San Giovanni e la sporca guerra ai civili

La Bettola nel 1944
 di Barbara Bertolini


Del passato non ci sono solo scenari idilliaci da ricordare ma anche storie terribili di violenze e barbarie come questa, avvenuta alla “Bettola”, comune di Vezzano, vicino a Reggio Emilia, la notte di San Giovanni del 1944, una calda notte stellata,  dove pace e serenità regnavano sovrane perché  il coprifuoco, in vigore dalle 22, impediva a chiunque di uscire.

In quel lontano 1944 la guerra ormai aveva dato il peggio di sé e non c’era più nulla da perdere sia per i fascisti che per i tedeschi ma, anche i partigiani colpivano duro: insomma si era arrivati ad un punto di non ritorno dove non c’era più umanità per nessuno, come dimostra questo episodio, non certo il solo nel panorama italiano di allora. Anzi, dicono M. Durchfeld e M. Storchi* che  le stragi perpetrate dai tedeschi di più ampie proporzioni avvennero proprio nell’estate-autunno di quell’anno.

Tra le verdeggianti colline, sulla strada che da Reggio Emilia porta a La Spezia, inerpicandosi su sulle montagne dell’Appennino emiliano,  c’era, e c’è ancora, un’osteria, La Bettola, comune di Vezzano sul Crostolo: un bell’edificio che fungeva da locanda, bar, ristorante, nota per la sua ospitalità e il suo vino frizzante. L’antico Albergo Ponte Bettola, così si chiamava, ospitava in quel periodo famiglie di sfollati e,   nell’ampio piazzale si fermava regolarmente la corriera che transitava su quest’arteria.  Quella sera in tutto vi erano 37 ospiti compreso l’oste sua moglie e sua figlia.

In quei mesi, la Resistenza nel reggiano non era ancora ben struttura perché era difficile reperire personale in grado di tradurre in azioni le direttive emanate dal CLN, ovvero il Comitato Liberazione Nazionale, che raccoglieva in un unico organismo i diversi partiti dell’antifascismo storico e che fungeva da direzione politica della lotta di Liberazione. Le formazioni partigiane che vi transitavano erano gruppi mal armati di antifascisti composti su base volontaria. Probabilmente questa strage non sarebbe mai avvenuta se, invece di un ragazzino di 19 anni, nominato comandante della pattuglia, vi fosse stato qualcuno di più maturo e preparato a condurre  questa operazione di sabotaggio.

Ma veniamo ai fatti.  

A Casina, comune a circa 15 km dalla Bettola,  arrivò tra il 13 e il 20 giugno del ’44 un’unità della Gendarmeria tedesca comandata da un certo capitano Laner o Lannech. Alle ore 21.45 del 23 giugno alcuni uomini di Laner furono attaccati dai partigiani sul ponte “La Bettola”, poco distante dall’osteria e, nel combattimento, persero la vita due tedeschi e tre partigiani.

Cosa era successo? I partigiani avevano deciso di minare il ponte per tagliare la strada ai tedeschi. Ma, inesperti, aveva provocato solo pochi danni che i nazisti, il giorno dopo, avevano riparato senza problemi. Solo che il giovane capo di quella formazione partigiana, Enrico Cavicchioni (nome in codice Lupo), di appena 19 anni, senza nessuna esperienza militare, aveva deciso di ritornare sul posto la sera dopo per riminare quel ponte: un errore fatale. Un soldato esperto sa che non si deve mai ritornare sul luogo del delitto poiché  ci sono buone probabilità che venga sorvegliato dal nemico. E, infatti, i giovani guerriglieri vengono scoperti dai soldati del Reich e, nell’accanito combattimento, rimangono uccisi due tedeschi e tre partigiani. Sono le ore 21.45 del 23 giugno ’44.

Intanto gli occupanti della locanda vicino hanno sentito gli spari, ma sono tranquilli perché non capiscono quello che è successo e, soprattutto, sono totalmente estranei ai fatti,  ecco perché non percepiscono nessun pericolo e ognuno di loro va a dormire sperando che l’alba torni presto. Eppure, avrebbero tutti avuto il tempo di fuggire, tanto più che sul piazzale era ferma la corriera della SARSA. Ma nessuno di loro poteva sapere che i comandi nazisti avevano ricevuto da pochi giorni il seguente terribile Ordine dal Feldmaresciallo Albert Kesselring (17.6.1944) :

«[…] Là dove compaiono bande di notevoli proporzioni, bisogna ogni volta arrestare una determinata percentuale della popolazione maschile della zona e, qualora si verificassero violenze, fucilarla. Bisogna farlo sapere agli abitanti. Se in qualche località si sparerà sui soldati ecc…, la località stessa dovrà essere incendiata. Esecutori o caporioni saranno impiccati in pubblico […]».

Insomma, una guerra dichiarata anche a tutta la popolazione civile.

Ecco perché la reazione dei tedeschi è immediata. Già alle 23,15 partono da Casina dove sono stanziati, circa 50 dei 140 uomini del presidio.  Arrivati sul posto, circondano cautamente alcune abitazioni situate nei pressi del ponte. Entrano nella casa più vicina e uccidono all’istante due vecchi: Liborio Prati, sua moglie e la loro figlia. In quella casa c’è anche la nipotina di 11 anni, Liliana Del Monte. Quando i soldati tedeschi sparano alla lampadina facendo precipitare la stanza nel buio, la bambina ha il riflesso giusto poiché si nasconde  sotto le coperte  del lettone dei nonni. Rimarrà ferita da ben tre pallottole ma riuscirà comunque a fuggire saltando da una finestra quando la casa, incendiata dai militi,  sta bruciando. Liliana è nata per vivere perché, ferita e una caviglia rotta, la ragazzina riuscirà a nascondersi nell’erba alta vicino al fiume. Ma un soldato delle SS successivamente la scorge e, lì, scatta l’unico barlume di umanità di quella notte  ̶  ha anche lui una figlia che l’aspetta in Germania forse?   ̶  comunque sia, rischiando la fucilazione, la prende in braccio per spostarla in un posto più sicuro dove potrà essere soccorsa dalle persone del luogo. Grazie a questo gesto caritatevole, la ragazzina sarà una delle poche persone sopravvissute al massacro. Intanto i nazisti si dirigono verso la Bettola e si fanno aprire dall’oste Romeo Beneventi. Poi fanno uscire donne, uomini e bambini, radunandoli in due luoghi diversi: una parte nel garage della locanda e l’altra parte dietro la casa.

I primi sono mitragliati, poi ricoperti da tronchi d’albero, cosparsi di benzina e dati alle fiamme per incenerirne i cadaveri. A quelli radunati dietro al fabbricato toccherà una sorte peggiore perché verranno   trucidati a bastonate e uccisi a colpi di pistola, quindi gettati nel rogo insieme agli altri. Tra questi, un bambino di appena 18 mesi che fu buttato vivo nelle fiamme.  Delle persone prese dai soldati tedeschi si salvarono alla carneficina solo l’oste, sua moglie e sua figlia perché, approfittando di un momento di confusione, si erano nascosti nel lavatoio. C’è anche uno studente che si salva quella sera. E’ Paolo Magnani, sfollato a La Bettola dopo aver dato l’esame di maturità al Liceo di Reggio Emilia.  L’ha salvato il fatto che rischiava di essere preso come renitente alla leva.  Quando sente gli spari si nasconde in solaio dietro a mucchi di legna, un nascondiglio che aveva preparato precedentemente con cura.  Si salvano anche altri cinque carrettieri precettati per portar legna e che si erano fermati alla Bettola. Infatti, avevano capito, fin da subito, che le cose avrebbero potuto mettersi male e si erano nascosti per precauzione in cantina riuscendo a fuggire senza essere visti quando tutta la casa brucia.
Quello che resta della Bettola

Tra le testimonianze di questo massacro quella di Liliana Del Monte la ragazzina salvata dal soldato tedesco, raccolta nel libro, Il nazista e la bambina da lei pubblicato nel 2008. Scrive, infatti, Liliana  che, dopo aver udito gli spari tra i tedeschi e i partigiani la nonna chiese al nonno:

«[…] Cosa facciamo? Nonno Ligorio ci pensò un attimo su e disse: - Vestitevi e andiamo a letto. Spegniamo le luci e che nessuno si muova, per nessun rumore, evento, ragione. Finché non lo dico io.  Non abbiamo fatto nulla, non dovremmo correre alcun pericolo, ma stiamo pronti a qualsiasi cosa.   - Prosegue Liliana  -  Com’è fatto l’inferno? Il mio inferno è fatto di un calcio che spalanca la porta di casa mia, e questa porta diventa una bocca che vomita lupi mannari, che indossano una divisa grigia e hanno un mitra in mano. Sono due, quattro, sei. Io sono abbracciata alla mamma, paralizzata dal terrore in un angolo della cucina […] Il mio inferno sono sei belve che spingono me e la mia mamma nella camera dei nonni, ci costringono ad andare verso di loro che sono seduti nel letto, si schierano in un secondo contro il muro. Hanno davanti agli occhi un anziano, un’anziana, una bambina e, a sinistra, una donna in piedi. E sparano. Sparano. Sparano ancora. Sono sicura che anche loro sono andati incontro alla morte increduli. Questa, forse, la ragione del loro silenzio (dei nonni e della mamma n.d.r.). Troppo lo stupore, troppa l’assurdità. Da lasciare senza parole». 

Come già detto, Liliana si salverà ma con questi terribili ricordi. Il regista  Christian Spaggiari realizzerà nel 2016 il film  La rugiada di San Giovanni tratto dal libro della donna.



A fine guerra ci sarà un’indagine su questa barbarie sia in Italia che in Germania. Venne aperto un procedimento contro il capitano Paul Nikoleizyk, contro il suo superiore Karl-Heinz Bűrger delle SS ed altri. Ma questa inchiesta non ebbe però alcun seguito e il Procuratore generale di allora decise nel 1960 la sua archiviazione provvisoria. Nel 1971 si archiviò definitivamente tutto perché fu impossibile determinare quali membri dell’unità avessero effettivamente compiuto il crimine e il materiale venne relegato nel famoso “archivio della vergogna” di Palazzo Cesi a Roma.

E, intanto, per tutti i sopravvissuti le conseguenze di questa strage furono terribili: uno dei birocciai, Guido Garlassi, da quella notte non riuscirà più ad addormentarsi a luce spenta o da solo in camera.  Romeo Benvenuti, l’oste superstite, non parlerà più e non ricorderà. Ha cancellato tutto di quei fatti, è diventato come un bambino affidato alle cure dalla moglie.

La sporca guerra aveva spazzato via, in tutta la penisola, intere famiglie di innocenti che avevano avuto solo la sfortuna di trovarsi nel posto sbagliato.
Barbara Bertolini

*
Matthias Durchfeld e Massimo Storchi, La Bettola la strage della notte di San Giovanni, Istoreco, s.d., Reggio Emilia


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